Diagnostica per immagini della fascite plantare
A. Iovane, F. Sorrentino, A. Faulisi
Sezione di Scienze Radiologiche- DIBIMEL- Università degli Studi di Palermo
La fascite plantare è definita un processo infiammatorio della fascia, o meglio dell’aponeurosi plantare, una banda di tessuto fibroso che si estende dal margine inferiore del calcagno alla superficie plantare delle articolazioni metatarso-falangee e alla base della falange prossimale delle dita del piede, sostenendo la volta plantare. La volta plantare è un insieme architettonico che associa armoniosamente tutti gli elementi osteoarticolari e muscolo-legamentosi del piede. La volta, grazie alla sua elasticità e ai suoi cambiamenti di curvatura, può adattarsi a tutte le asperità del terreno e trasmettere al suolo le sollecitazioni ed il peso del corpo nelle migliori condizioni meccaniche in tutte le circostanze. La fascia plantare, in relazione al suo importante ruolo biomeccanico, è prona a ripetuti traumi, più propriamente microtraumi, perpetuati dalla ripetuta tensione esercitata dal peso corporeo (durante il normale cammino, ad ogni passo, la fascia sopporta un carico pari a circa due volte il peso corporeo), in corrispondenza della sua inserzione calcaneare, cui si ritiene consegua una risposta infiammatoria.
L’istologia ha mostrato alterazioni abbastanza varie come la necrosi delle fibre collagene, la metaplasia condroide e la calcificazione della matrice che suggerisce il ripetersi di tensione e processi degenerativi, che possono condurre alla rottura. La FPI non è caratterizzata pertanto da uno stato infiammatorio tipico ma dall’incremento della matrice connettivale e dei fibroblasti. Durante alcuni gesti atletici, come la corsa o il salto, nel momento in cui il tallone si solleva da terra, l’angolo tra le dita ed i metatarsi aumenta sino a raggiungere i 50-60° e la fascia plantare è stirata, quanto maggiormente le dita sono piegate, tanto più la fascia è sollecitata in stiramento. Una fascia eccessivamente tesa ed ipersollecitata diviene quindi automaticamente il sito di una possibile lesione. La ridotta estensibilità del tendine d’Achille come alcune alterazioni anatomiche del piede (piattismo o cavismo) possono favorire l’insorgenza di una fascite plantare; non è stato dimostrato in ogni caso uno stretto legame tra la fascite plantare e queste alterazioni morfologiche. La fascite plantare è un’alterazione patologica della fascia plantare e delle strutture limitrofe alquanto frequente, essendo la principale causa di dolore del tallone e rappresentando tra l’11% e il 15% dei disturbi del piede che richiedono un intervento medico. La fascite plantare interessa nella maggior parte dei casi una popolazione d’età compresa tra i 40 e i 60 anni, senza una particolare predilezione di sesso secondo alcuni autori, con predilezione per il sesso femminile secondo altri. Può essere idiopatica (FPI) o correlata a patologia traumatica o sistemica (artrite reumatoide, spondiliti sieronegative, etc.). Sono più soggetti gli obesi e gli sportivi. Le attività sportive maggiormente correlate sono la corsa, la danza, il tennis ed il basket. Nella maggior parte dei casi, la valutazione clinica è molto affidabile nella diagnosi di FPI. L’inizio della sintomatologia è graduale con dolore all’interno del tallone, spesso sul versante mediale; altre volte il dolore origina al centro della pianta del piede, continua fino alle dita e risale fino alla gamba. Il dolore è maggiore al risveglio, nel compiere i primi passi, si attenua dopo pochi minuti e ricompare alla fine della giornata; nei casi più gravi il dolore è continuo, il paziente può anche non essere in grado di caricare il peso sul tallone e quindi di camminare. Di notte i piedi assumano una posizione rilassata (con le punte verso il basso), in questo modo il tendine d’Achille si “accorcia” e con questo anche la fascia plantare. Se è in atto un’infiammazione delle fibre, esse alla ripresa della posizione a 90° del piede non riescono a stendersi e ne deriva un dolore molto forte. In alcuni pazienti, la sintomatologia può manifestarsi in modo atipico o la terapia conservativa può non sortire l’effetto desiderato pertanto, per ottenere la conferma del sospetto diagnostico è assolutamente fondamentale il ricorso alle metodiche della diagnostica per immagini. Nella diagnosi di FPI il ruolo delle metodiche di imaging è di fondamentale importanza poiché consente la verifica del sospetto clinico, la diagnosi differenziale e la corretta pianificazione terapeutica.
La diagnosi differenziale include fondamentalmente la borsite sottocalcaneare, la frattura da stress del calcagno, la sindrome del tunnel tarsale e l’osteomielite del calcagno. Le metodiche di imaging abitualmente impiegabili nella diagnosi di FPI comprendono: 1) la radiografia dei piedi eseguita sotto carico; 2) l’ecografia ad alta risoluzione (HRUS); e 3) la risonanza magnetica (RM) del piede.
La radiografia sotto carico dei piedi è una metodica ampiamente diffusa, a basso costo, che però comporta l’esposizione alle radiazioni ionizzanti. Questa può mostrare le alterazioni morfostrutturali (cavismo, piattismo, ecc.) della volta plantare e la presenza di una periostite reattiva (sperone calcaneare) da trazione, sull’inserzione della fascia plantare (Fig. 1)
oltre che naturalmente le alterazioni strutturali delle strutture ossee del piede. Se le informazioni sulle alterazioni morfologiche della volta plantare possono essere molto utili, la dimostrazione dello sperone calcaneare, presente spesso in pazienti assolutamente asintomatici è un riscontro non fondamentale è rappresenta il risultato e non il fattore determinante dell’infiammazione cronica della fascia. La radiologia convenzionale pertanto svolge un ruolo abbastanza limitato nella diagnosi di FPI.
L’HRUS è una metodica dinamica, non invasiva, a basso costo, ampiamente diffusa nel territorio, molto affidabile nell’identificare i segni di FPI. L’aspetto della fascia plantare normale abitualmente descritto quello di una banda iperecogena a struttura fibrillare, delimitata da due strie iperecogene a margini netti e regolari, che presenta uno spessore inferiore a 4 mm. La diagnosi ecografica di FPI è formulata alla presenza dei seguenti segni: 1) incremento dello spessore >4 mm; 2) morfologia biconvessa; e 3) alterazioni ecostrutturali della fascia: ipoecogenicità, disomogeneità e ridotta definizione dei margini (Fig. 2). Nei pazienti con FPI monolaterale è stato segnalato nella fascia plantare del piede controlaterale asintomatico uno spessore di 3,83± 0,72, pertanto forse lo spessore più idoneo per definire la FPI dovrebbe essere >4,5 mm o meglio ≥ a 5 mm. In alcuni pazienti è possibile identificare la presenza di un’edema perifasciale (Fig. 3) L’HRUS si è dimostrata una metodica molto affidabile nella identificazione della FPI presentando, rispetto alla RM, ritenuta il gold standard, una sensibilità del 80% e una specificità del 88,5%. L’HRUS oltre che per la diagnosi è utilizzata come guida al trattamento, eseguito con iniezioni di corticosteroidi o con onde d’urto (ESWT), e nel follow-up.
La RM è una metodica dotata di alta panoramicità, con ottima risoluzione spaziale e di contrasto che consente oltre che l’identificazione delle alterazioni morfologiche e dell’intensità di segnale della fascia o dei tessuti perifasciali, con visualizzazione dell’edema intra e perifasciale, anche il riconoscimento delle alterazioni del cuscinetto adiposo sottocalcaneare e del calcagno (Fig. 4).
Questa metodica è meno diffusa nel territorio rispetto all’HRUS e di maggiore costo e se ne dovrebbe fare ricorso solo nei casi dubbi all’HRUS per consentire la formulazione della diagnosi differenziale.
Nel corretto iter diagnostico della FPI pertanto il supporto della diagnostica per immagini dovrebbe essere richiesto nei casi con sintomatologia atipica o refrattari alla terapia conservativa facendo ricorso alla HRUS, complementata dalla radiologia convenzionale, e solo nei casi dubbi alla RM.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
1) Buchbinder R (2004) Plantar fasciitis. NEJM 350:2159-66.
2) Kapandji I.A. (2006) La volta plantare. Fisiologia articolare Vol. 2 Arto inferiore. Va edizione. Maloine Monduzzi Editore: 228-252.
3) Sabir N, Demirlenk S, Yagci B, Karabulut N, Cubukcu S. (2005) Clinical utility of sonography in diagnosis of plantar fasciitis. J Ultrasound Med 24:1041-1048.
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