La parola al Radiologo

A cura del dott. Carlo Faletti
Resp. Traumatologia dello Sport - SIRM
Radiologia Muscolo-Scheletrica.

Il gomito del tennista

Stefano Dragoni - Radiologo
Vincenzo Candela - Ortopedico
Istituto di Medicina e Scienza dello Sport del CONI - Dipartimento di Medicina dello Sport - Roma

Introduzione
Il termine "gomito del tennista" o epicondilite omerale si riferisce ad una sindrome dolorosa localizzata sull'epicondilo laterale del gomito talvolta irradiata distalmente alla muscolatura dell’avambraccio, secondaria alla ripetuta azione micro-traumatica dei tendini dei muscoli estensori del polso e della mano e supinatori dell’avambraccio a livello della loro origine.
Nel tennis la sintomatologia dolorosa non insorge quasi mai in maniera improvvisa ma nella maggior parte dei casi i sintomi hanno un inizio subdolo e lento con un dolore diffuso alla regione laterale del gomito che si irradia lungo l’avambraccio o, talvolta, con una sensazione di stanchezza che scompare con il riposo; in molti casi questi segni così modesti vengono sottovalutati dallo sportivo che non comprende l’entità dell’affezione e continua quindi nella sua attività; con il passare del tempo la pratica sportiva diventa sempre più difficile in quanto tutti i movimenti di prensione della mano risultano estremamente dolorosi, ostacolando, non solo l’attività sportiva, ma anche le comuni gestualità di vita quali ad esempio dare la mano, versare l’acqua da una bottiglia oppure scrivere.
Questa affezione non è di esclusiva pertinenza del tennis ma può comparire anche in altre discipline sportive quali il golf, il polo, l’hockey e la scherma.
Se ne osserva inoltre la presenza anche in soggetti sedentari che, per la loro attività lavorativa abusano funzionalmente dei muscoli epicondiloidei; più frequentemente colpiti sono i lavoratori con martelli pneumatici, i sarti, le dattilografe ed i violinisti.
Per tale motivo è necessaria una valutazione clinica e diagnostica rigorosa, così come una precisa applicazione di misure terapeutiche e di modalità preventive.


Eziopatogenesi

L’epicondilite omerale è comunemente inquadrata nell’ambito delle tendinopatie ad etiologia meccanica vale a dire tra quelle forme patologiche del tendine nelle quali, l’iperuso funzionale ripetuto nel tempo, assume valore patogenetico predominante.
La presenza di fattori favorenti sia endogeni che esogeni deve essere attentamente presa in considerazione tenendo presente che, se al sovraccarico si associa ad una accentuata rigidità o scarsa elasticità dei muscoli dell'avambraccio, gli effetti patogeni della contrazione muscolare a livello della giunzione osteo-tendinea risultano inevitabilmente esaltati.
Non va inoltre dimenticato, quale fattore concausale, una possibile predisposizione individuale da ricercarsi in una generica condizione diatesica che rende l’organismo più suscettibile ad andare incontro a patologie di questo tipo.
È noto, infatti che, fattori meccanici sovrapponibili per intensità e durata non sempre producono gli stessi effetti a causa di una diversa risposta individuale che si traduce in manifestazioni cliniche di variabile entità.
I più importanti fattori esterni in grado di condizionare e favorire la comparsa di una epicondilite vanno ricercati sia nel gesto atletico che nell’uso di attrezzi sportivi non idonei alle caratteristiche tecniche dell’atleta.

Tra questi è opportuno ricordare:
A) il livello di abilità tecnica: l'epicondilite è più frequente fra gli atleti di basso livello e i giocatori occasionali di tennis che tra i professionisti, anche se in questi ultimi l’attività allenante e di gara si protrae quotidianamente per molte ore; da ciò ne consegue che un corretto gesto tecnico, sostenuto da un armonico equilibro dei muscoli agonisti ed antagonisti, riduce al minimo il rischio di danno dovuto allo stimolo funzionale; il colpo più frequentemente interessato nella genesi di questa affezione è il rovescio soprattutto quando viene eseguito in modo non corretto con scarsa coordinazione tra rotazione del corpo, piegamento delle gambe e movimento del braccio oppure quando l’esecuzione del movimento è troppo ritardata o eccessivamente rigida;

B) l'uso di racchette con caratteristiche strutturali non adeguate può condizionare negativamente la resistenza del tessuto tendineo agli stimoli funzionali; ad esempio una racchetta molto pesante è difficile da manovrare soprattutto nei colpi che richiedono grandi velocità di spostamento come nel gioco a rete; se è troppo rigida può favorire la comparsa di vibrazioni troppo elevate in ampiezza; una racchetta lesionata, inoltre, può alterare notevolmente la risposta del telaio, aumentando in modo considerevole l’ampiezza delle vibrazioni. I moderni materiali con i quali sono oggigiorno realizzate le racchette hanno fatto si che quelle di legno siano ormai completamente abbandonate; le racchette in grafite, leghe leggere, boron, kevlar (spesso tra loro combinati) con manici a struttura tubolare riempiti di schiume di elastomeri consentono un efficace controllo del peso, del bilanciamento e in definitiva un migliore assorbimento delle vibrazioni; nelle racchette di legno, inoltre, il manico è parte integrante del fusto mentre nelle altre, la possibilità di utilizzare materiali diversi in grado di ammortizzare le risposte elastiche del fusto consente di ridurre notevolmente gli effetti delle vibrazioni;

C) Le dimensioni del manico della racchetta devono essere proporzionate alla mano per consentire un immediato riconoscimento della posizione nel momento del colpo. È opportuno ricordare che se da un lato un manico di diametro ridotto permette un miglior controllo della racchetta, dall’altro gli effetti legati ad una intensa contrazione isometrica e quindi maggiore tensione dei muscoli della mano e dell’avambraccio può incrementare notevolmente gli effetti del sovraccarico sulle giunzioni osteo-tendinee; anche il manico troppo grande, non consentendo una presa salda, costringe il giocatore ad esercitare un maggiore sforzo con la mano e con i muscoli dell’avambraccio; in linea generale la distanza tra l’estremità delle dita e il palmo della mano deve essere di circa 5 mm. quando questa è chiusa sull’impugnatura;

D) Anche il modo di impugnare la racchetta condizionando i movimenti di flessione ed estensione del polso può accentuare notevolmente gli effetti dei carichi che si realizzano sul gomito.

Nel tennis ci sono tre differenti modalità di impugnatura:
- “continental”, che ha trovato la sua applicazione negli anni passati in quasi tutti i Paesi europei, subendo progressive trasformazioni con l’avvento di tecniche di gioco più aggressive e l’uso di superfici più veloci della terra battuta; il suo uso si è andato progressivamente riducendo soprattutto tra gli atleti di più elevato livello agonistico perché questo modo di impugnare la racchetta non garantisce la dinamica indispensabile per impatti veloci. Solamente una variazione della posizione del polso può correggere l’impatto arretrato a prezzo però di un notevole aumento del sovraccarico funzionale;
- “western”, nella quale la superficie della mano offre un ampio appoggio al manico della racchetta con le dita piuttosto chiuse; permette di sviluppare movimenti molto stretti e di impattare la palla nettamente al davanti del corpo; la sua elevata difficoltà tecnica la rende poco utilizzata, soprattutto tra i tennisti di basso livello.
- “eastern”, è una tecnica di impugnatura intermedia tra le due precedenti; il palmo della mano si trova appoggiato sul manico con l’eminenza tenar che ne sormonta la faccia superiore; l’eminenza ipotenar assolve la funzione di appoggio sostenendo efficacemente la parte destra del manico. In tal modo il polso risulta abbastanza rigido con un minor carico funzionale sul gomito; al momento questo tipo di impugnatura è quello più utilizzato nel circuito professionistico. (figura 1 A-B-C).
E) La tensione delle corde, il materiale con cui è realizzata la racchetta, la qualità delle palline sono tutte cause che possono influenzare l'intensità dell'impatto durante il gioco. Le corde in budello, ad esempio, a differenza di quelle in materiale sintetico, sono capaci di assorbire la maggior parte delle vibrazioni causate dall'impatto della pallina sul piatto corde; in genere la tensione non dovrebbe superare i 24 Kg. per le racchette classic size (che peraltro sono quasi del tutto abbandonate) e i 26-27 Kg. per le mid size. In caso di ripresa dell’attività dopo un episodio di epicondilite è bene non superare i 19-20 Kg per le prime e 20-21Kg per le seconde. Non va poi dimenticato che con il passare del tempo le corde perdono elasticità e per tale motivo è opportuna la loro sostituzione nonostante risultino apparentemente integre utilizzando preferibilmente le ibride o quelle in multifilamento che assorbono notevolmente le vibrazioni della racchetta .


Aspetti patologici
L’epicondilite omerale viene inquadrata nell’ambito delle tendinopatie inserzionali nelle quali il danno anatomico si sviluppa in corrispondenza del segmento di passaggio tra tendine e osso.
La giunzione osteo-tendinea è la regione in cui il tendine si inserisce all’osso e sulla quale si concentrano gli effetti trazionali delle contrazioni muscolari; la microscopia ottica consente di suddividere la giunzione in quattro zone distinte che sono quella del tendine, della fibrocartilagine, della fibrocartilagine mineralizzata (separate dalla linea del cemento o linea blu) e dell’osso.
Nelle tendinopatie inserzionali si osserva un marcato sovvertimento strutturale della normale architettura del segmento giunzionale con la presenza di aree di degenerazione e metaplasia sotto forma di focolai di materiale necrotico, aree di degenerazione ialina, fibrocartilaginea e calcifica.
Il quadro anatomico è in definitiva sovrapponibile a quanto si osserva nelle tendinosi nelle quali la struttura del tessuto è qualitativamente o quantitativamente alterata.


Diagnosi

L'epicondilite è caratterizzata da dolore sul gomito, che può irradiarsi ai muscoli dell'avambraccio ed aumentare durante l'estensione del polso e della mano.
La pressione esercitata sull'epicondilo laterale causa intenso dolore così come le manovre di estensione contro resistenza del polso e del terzo dito della mano risvegliano dolore.
La diagnosi di questa affezione si basa essenzialmente sugli aspetti clinici e le indagini strumentali hanno lo scopo di confermare il sospetto e di dimostrare lo stadio evolutivo della lesione; in tal senso l’esame ecografico (Fig. 2 A-B) e la RM (Fig. 3; freccia) consentono di individuare agevolmente le alterazioni anatomiche dei tendini in sede inserzionale mentre l’esame radiografico permette di dimostrare la presenza di focolai calcifici che talvolta compaiono nelle fasi avanzate della patologia.
La diagnosi differenziale deve essere posta nei confronti delle sindromi canalicolari (tunnel radiale), ovvero con le sindromi cervico-brachialgiche, le artrosi e le osteocondrosi del gomito.
Nelle cervicobrachialgie il dolore è distribuito lungo tutto il braccio ed inoltre la presenza di parestesie e di ipostenia muscolare facilitano la diagnosi.
In presenza di artrosi e di osteocondrosi, il dolore è solitamente meno intenso per accentuarsi durante i movimenti di flesso-estensione del gomito; in questi casi un esame RM è sufficiente per eliminare tutti i dubbi.


Terapia
Il presidio terapeutico fondamentale nel trattamento della epicondilite omerale è rappresentato dal riposo non solo atletico di durata variabile ma comunque non inferiore a 30 giorni, da proseguire sino alla scomparsa della sintomatologia dolorosa; a questo si associano terapie mediche e fisiche con lo scopo di favorire la riparazione del danno anatomico.
Nelle fasi di dolore acuto risultano particolarmente efficaci i farmaci antinfiammatori non-steroidei assunti per via sistemica o applicati localmente (unguenti, gel, cerotti ecc.), associati ad impacchi di ghiaccio (applicazioni di venti minuti almeno due volte al giorno, con cicli di otto - dieci giorni). Durante il trattamento il paziente deve interrompere l'attività sportiva specifica ed evitare quei movimenti giornalieri che coinvolgono i muscoli dell'avambraccio.
La fisioterapia, mediante trattamenti di ipertermia, laser e diatermia da contatto, può favorire una positiva evoluzione di questa affezione.
L'infiltrazione locale con preparati a base di cortisonici può essere usata, ma soltanto nei casi in cui i sintomi persistono dopo i trattamenti sopra menzionati, e in ogni caso dovrebbe essere effettuata solo per un numero limitato di volte.
È molto importante che, una volta cessato il dolore e verificato il recupero attivo, la ripresa della normale pratica sportiva avvenga solo dopo un periodo di idoneo e sufficiente ricondizionamento atletico, che dovrà consistere in esercitazioni di forza (contrazioni isometriche ed isotoniche per i muscoli dell'avambraccio) alternate ad esercizi di allungamento.
In questo modo saranno ridotti i rischi di recidive che sono sempre in agguato se l’atleta, non avvertendo più dolore e ritenendosi erroneamente guarito, riprende l’attività agonistica senza osservare le istruzioni riabilitative descritte in precedenza.
In ogni caso, malgrado il rispetto di tutti gli accorgimenti terapeutici, una piccola percentuale (circa 5%) dei casi di epicondilite non guarisce e in questi casi può essere presa in considerazione la terapia chirurgica artroscopica o artrotomica. ■

Bibliografia
- Santilli G.:
"Le epicondiliti da sport", Med. Sport 22,295,1969.
- Nirschl H.:
"Soft-tissue injuries about the elbow", Clin. Sports Med. 5,637,1986.
- Schatz P., Steiner C.:
"Tennis elbow: a biomechanical and therapeutic approach", J. Am. Orthop. Assoc. 7,778,1993.
- Kelley J.D., Lombardo S.J., Pink M.:
"Electromyographic analysis of elbow function in tennis players with lateral epicondylitis", Am. J. Sports Med. 3,359,1994.

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