A cura del dott. Carlo Faletti
Resp. Traumatologia dello Sport - SIRM - Radiologia Muscolo-Scheletrica.
La patologia osteocondrale
dello sportivo. Quale iter diagnostico?
Dott. Alberto Bellelli
Direttore Unità Operativa Complessa di Radiologia Diagnostica ed Interventistica
Ospedale “San Giovanni Calibita” Fatebenefratelli Isola Tiberina - Roma
I quadri di patologia osteocondrale dello sportivo possono essere molteplici.
Si può suddividere l’argomento anche da un punto di vista pratico, in patologia di origine post-traumatica dell’osso e della cartilagine (che sono le forme più frequenti nei giovani in traumatologia dello sport) e quelle patologie che riconoscono una base degenerativa micro-traumatica (più spesso tipiche del soggetto amatoriale, in età più avanzata).
Il dato clinico: dolore articolare, impotenza funzionale, tumefazione, calore e soprattutto la storia anamnestica clinica, orienteranno verso un’ipotesi di tipo infiammatorio dell’articolazione coinvolta su base sinovitica con versamento endoarticolare più o meno cospicuo.
Ma che cosa si può fare da un punto di vista diagnostico, nel caso si sospetti un possibile interessamento osteocondrale in uno sportivo?
Innanzi tutto il nostro Paziente andrà valutato complessivamente. La presenza di un difetto di allineamento degli arti inferiori, una dismetria del bacino, la presenza di una scoliosi latente, un eccessivo varismo o valgismo o ancora un esito di pregressa frattura o di intervento chirurgico andranno presi in considerazione.
Molto spesso infatti, il versamento articolare o idrartro e il dolore e l’impotenza funzionale di un’articolazione come anca, ginocchio o caviglia trovano spiegazioni insolite, distanti o sottovalutate e legate a un problema di assetto posturale o eventualmente dello scheletro assile.
Per tali motivi è indispensabile una valutazione clinica complessiva, per non incorrere in errori diagnostici che possono trarre in inganno e condurre fuori strada.
Dopo la valutazione del Paziente il primo passo è sicuramente quello di un esame radiologico convenzionale (fig.1).
Unica eccezione può essere eventualmente quella del Paziente sportivo in età adolescenziale in cui si possono preferire tecniche di imaging non invasive o che non comportano l’esposizione alle radiazioni ionizzanti.
In tutti gli altri casi la radiografia consente di evidenziare con estrema accuratezza attraverso segni importanti, difetti di allineamento femoro-tibiale o femoro-rotuleo, un problema dell’anca di tipo displasico misconosciuto o una scoliosi clinicamente poco evidente.
La radiografia convenzionale deve essere tecnicamente ben eseguita e l’esame deve essere sempre corredato da visioni panoramiche, ortogonali fra di loro sia su piano frontale che laterale ed eventualmente completata da immagini con incidenza obliqua.
L’esame radiologico inoltre spesso può essere corredato da immagini funzionali in ortostasi, in flessione o in estensione per meglio comprendere eventuali situazioni dinamiche in carico. Per motivi intrinseci legati alla formazione dell’immagine radiografica, non può essere visualizzato il piano cartilagineo e per tale motivo si preferisce adoperare altre tecniche di imaging, una volta escluso dalla radiologia tradizionale una alterazione displasica o un difetto di allineamento.
Il passo successivo a seconda dei casi può essere quello di un esame TC mirato ad un problema osseo (fig. 2)
o in alternativa un esame RM del distretto articolare interessato (fig. 3 e 4).
Certamente il primo andrà riservato a casi di assoluta necessità (fratture, distacchi inserzionali o patologia displasica scheletrica) in cui lo studio di dettaglio dell’osteostruttura deve avere qualità e caratteristiche di eccellenza per risoluzione spaziale e di contrasto sull’osso.
Al contrario l’esame RM potrà essere preso in considerazione con minore impatto delle problematiche di protezione del Paziente, essendo l’unica tecnica priva di rischi da esposizione a radiazioni ionizzanti, in grado di visualizzare direttamente la patologia della cartilagine e lo stato complessivo delle parti molli capsulari e legamentose dell’articolazione.
Alla RM infatti la cartilagine appare come una sottile lamina tessutale che riveste le estremità articolare, con ben definite caratteristiche di normalità e soprattutto con buona rappresentazione della spongiosa sub-condrale ossea.
Tra cartilagine e osso sub-condrale si instaura infatti uno stretto rapporto di omeostasi biologica e il danno patologico di uno dei componenti quasi sempre si associa ad alterazioni del secondo, come nel caso delle lesioni traumatiche, delle lesioni su base vascolare (osteonecrosi) o degenerativa (osteocondrosi) o nelle altre forme patologiche in cui le varie eziopatogenesi si fondono.
Alla grande diffusione della RM in campo medico-sportivo, ha contribuito in maniera determinante l’incremento delle apparecchiature esistenti sul territorio e l’indiscutibile efficacia della metodica, che è in grado di rispondere a numerosi quesiti posti al radiologo sullo stato delle strutture che compongono le articolazioni.
Non ultimo inoltre la pressione dei mass media sui grandi protagonisti dello sport professionistico, che non appena hanno un piccolo problema, eseguono esami diagnostici sofisticati con la relativa publicizzazione sui giornali.
Per quanto concerne le patologie cartilaginee possiamo ulteriormente suddividerle in primitive e secondarie. Le forme primitive sono caratterizzate da un deficit specifico, primitivo della cartilagine, che ne riduce le caratteristiche biomeccaniche e che la espone all’insorgenza di danni precoci, mentre le condropatie cosiddette secondarie sono legate ad altri fattori che agiscono sinergicamente su una cartilagine biologicamente normale. In questi casi, che sono la maggioranza, entrano in gioco fattori intrinseci all’articolazione (fratture, sinoviti, artriti, artrosi, infezioni) ed estrinseci all’articolazione come già ricordato: difetti di allineamento, difetti di carico o alterazioni displasiche congenite.
In questi Pazienti, gesti atletici iterativi tipici delle diverse attività sportive generano una serie di microtraumi ripetuti che con il passare del tempo producono un danno dapprima microscopico e successivamente macroscopico del piano cartilagineo.
A tale lesione superficiale si può associare sia per l’intensità del trauma che per effetto del micro-traumatismo un danno dell’osso sottostante e la RM è la migliore tecnica di imaging per svelare le lesioni occulte dell’osso (fig 3).
Anche nel caso delle lesioni cartilaginee isolate (fig.4) la RM è la migliore tecnica oggi a disposizione per un bilancio completo dell’estensione del danno, per valutare la possibilità chirurgica del trapianto di condrociti, delle perforazioni o dell’innesto periostale o della tecnica a mosaico. In tutti questi casi la RM permette di seguire nel tempo l’evoluzione della lesione, la risposta al trattamento e l’integrazione dell’eventuale innesto, il tutto in maniera non invasiva, ben accettata da Pazienti e dagli specialisti ortopedici, che hanno ben compreso i vantaggi di questi controlli rispetto alle più invasive tecniche di revisione artroscopica o chirurgica.
Nei casi clinici avviati al trattamento conservativo inoltre, la RM consente di valutare la completa guarigione delle lesioni di tipo traumatico per il recupero all’attività sportiva e per evitare complicanze o nuove problematiche articolari. Molto spesso infatti sono proprio queste ultime che condizionano l’imperfetto recupero fisico con strascichi a distanza e con situazioni che possono correre il rischio di essere sottostimate.
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