LA PAROLA AL RADIOLOGO
A cura del dott. Carlo Faletti
Resp. Traumatologia dello Sport - SIRM - Radiologia Muscolo-Scheletrica.
Studio dinamico dell’apparato muscolo-scheletrico: la risonanza magnetica in ortostatismo
G. Monetti*, P. Minafra
Istituto di Radiologia IRCCS Policlinico S. Matteo, Pavia, *Istituto di Scienze Motorie Università degli Studi di Bologna, Bologna,
Negli ultimi anni è risultata sempre più evidente la necessità di spostare l’attenzione delle metodiche di imaging verso un approccio di tipo funzionale oltre che anatomo-strutturale, in particolare per ciò che concerne le problematiche riguardanti l’apparato muscolo-scheletrico.
Per le sue caratteristiche peculiari la risonanza magnetica (RM) riveste ormai un ruolo principe nella diagnostica strumentale dell’apparato muscolo-scheletrico, consentendo una valutazione spaziale ed una ricchezza di informazioni relative ai distretti anatomici esplorati, siano essi il rachide o le articolazioni dell’arto superiore ed inferiore, tali da renderlo uno dei momenti fondamentali nell’iter diagnostico-strumentale delle principali patologie di tali distretti. L’unica reale limitazione è da sempre stata la logica considerazione che le sollecitazioni relative alla forza di gravità siano senza alcun dubbio differenti in condizioni di carico ortostatico se rapportate alla tipica posizione clinostatica comunemente assunta durante l’esecuzione dell’esame di RM.
Inoltre appare altrettanto evidente come segni e sintomi rilevabili durante l’esame clinico-anamnestico dei pazienti, siano il frutto di manovre dinamiche usualmente non riproducibili in condizioni statiche in clinostasi. Per tali motivi negli ultimi anni si è sviluppata una nuova apparecchiatura di risonanza magnetica completamente aperta, configurata per consentire lo studio del rachide e delle varie articolazioni in posizione di carico verticale a vari gradi di inclinazione secondo le possibili necessità diagnostiche relativamente al distretto in esame, consentendo quindi anche il carico parziale o totale e favorendo la simultanea riproducibilità di manovre dinamiche tipiche delle varie gestualità re-sponsabili di eventuali sindromi dolorose, non altrimenti evidenziabili in condizioni statiche.
Premesso infatti che la valutazione clinica rappresenta sempre il presupposto imprescindibile di un iter diagnostico corretto, va altresì ribadito come, soprattutto in ambito sportivo professionistico, sia sempre più importante fornire una documentazione oggettiva a conferma di quanto rilevato da un attento esame clinico.
In svariate situazioni infatti le considerazioni relative alle azioni stabilizzanti attive delle strutture muscolo-tendinee nei riguardi delle componenti capsulo-legamentose ed ossee, chiariscono come sia possibile rilevare sostanziali differenze confrontando gli esami eseguiti in condizioni di carico ortostaico o di stress articolare, rispetto a quanto osservabile con il solo esame in clinostasi. Condizione tipica a tale riguardo è rappresentata dalle sospette insufficienze del comparto capsulo-legamentoso del ginocchio, con riferimento in particolare al legamento crociato anteriore laddove spesso, a fronte di una clinica francamente indicativa di lesioni di vario grado, non si accompagni una corrispettiva conferma radiologica.
L’immagine a fianco (Figura 1) evidenzia un caso emblematico in cui la sola valutazione a paziente supino non consentiva una corretta rappresentazione delle reali condizioni anatomo-strutturali del legamento crociato anteriore (LCA) apparendo pertanto in disaccordo con quanto maturato durante la valutazione clinica; il completamento con acquisizioni in condizioni di carico ha confermato la rottura completa del legamento stesso consentendo al chirurgo di avere un quadro reale preoperatorio di quanto effettivamente evidenziabile successivamente in sede intraoperatoria.
Accanto a tali evenienze, sostanzialmente riconducibili ad esiti post-traumatici e pertanto in qualche modo ipotizzabili, esistono a carico del ginocchio svariate sindromi dolorose molto meno definibili essendo in relazione a condizioni dismorfiche o paramorfiche pre-esistenti responsabili di alterazioni della geometria articolare valutabili esclusivamente in condizioni di carico fisiologico.
È il caso delle problematiche concernenti le instabilità patello-femorali che riconoscono svariate condizioni favorenti, nelle quali appare opportuna una precisa valutazione che coinvolga lo studio complessivo di tutte le componenti stabilizzatrici.
In numerosi pazienti infatti, il quadro radiologico apparentemente patologico durante l’esame clinostatico, tende invece a rimodellarsi secondo un quadro di assoluta normalità in condizioni di carico (Figura 2), stante l’azione sinergica stabilizzatrice delle componenti muscolo-tendinee e capsulo-legamentose.
Le immagini a fianco riproducono un esame compatibile con lateralizzazione della rotula che invece mostra una normale centratura in condizioni ortostatiche.
Medesima considerazione, ma di significato diametralmente opposto, può essere fatta in tutti quei casi in cui la rotula appare perfettamente centrata in clinostasi e tende invece decisamente a lateralizzarsi in ortostasi, per insufficienza delle componenti stabilizzaztrici.
Evidenti modificazioni di morfologia ed intensità di segnale dei tessuti ossei e delle componenti cartilaginee, capsulo-legamentose e muscolo-tendinee, sono rilevabili a vari livelli al passaggio dalla posizione neutro/reclinata a quella verticale e con acquisizioni dinamico-cinetiche (flesso-estensione; intra-extra-rotazione; adduzione-abduzione ecc.).
Tali considerazioni sostengono la validità dello studio in ortostasi anche di articolazioni quali le anche ed il bacino in cui a fronte di possibili quadri complessi rappresentati ad esempio dall’impingement femoro-acetabolare nelle sue forme principali, il tipo “cam” ed il tipo “pincer”, l’esame mediante RM in condizioni di carico appare di fondamentale utilità a supporto di indagini come l’rx tradizionale, peraltro tuttora esame irrinunciabile.
Una ulteriore potenzialità dell’esame in ortostatismo è rappresentata dalle patologie capsulo-legamentose, osteo-condrali e muscolo-tendinee del complesso piede-caviglia laddove è possibile ottenere rilevanti informazioni in quadri patologici di particolare rilevanza come le instabilità di caviglia o le sindromi da impingement (Figura 3) sia in esiti post-traumatici, che in concomitanza di alterazioni morfo-strutturali costituzionali in riferimento ad alterazioni della volta plantare e delle componenti osteo-condrali della coxa-pedis.
Molto interessanti appaiono le valutazioni a carico della colonna in particolare nei tratti cervicale e lombo-sacrale, nei quali è possibile valutare il comportamento dei dischi e degli spazi intervertebrali, monitorando l’evoluzione di eventuali protrusioni od ernie laddove presenti, non soltanto a fini pre-chirurgici, ma soprattutto durante il follow-up terapeutico-riabilitativo, consentendo di apprezzare le modificazioni indotte dal protocollo terapeutico utilizzato ed evitando di sottoporre ad eccessive indagini radiologiche con radiazioni ionizzanti i pazienti in esame.
Figura 1 - Scansione sagittale comparativa del LCA: A – esame in clinostasi, B – esame in ortostasi
Figura 2 - Scansione assiale sulla articolazione femoro-rotulea: A – esame in clinostasi, B – esame in ortostasi
Figura 3 - Scansione sagittale della colonna lombo-sacrale: A – esame in clinostasi, B – esame in ortostasi
Figura 4 - Scansione sagittale sulla articolazione astragalo-scafoidea dorsale in corso di sindrome da impingement anteriore: A – esame in clinostasi, B – esame in ortostasi
Le scansioni sagittali del tratto lombo-sacrale qui riprodotte (Figura 4), eseguite nel sospetto di possibile patologia erniaria, non evidenziano sostanziali alterazioni a carico dei dischi intervertebrali esaminati in posizione supina; l’integrazione con acquisizioni in condizioni ortostatiche invece ha consentito di documentare una evidente grossolana protrusione che, condizionando un impegno del forame intervertebrale, ha confermato il sospetto clinico-diagnostico di sofferenza radicolare.
Interessante inoltre come, in svariati pazienti, sia frequente il rilievo di alterazioni concomitanti, quali stenosi parziali del canale vertebrale o antero-listesi a vari gradi, esclusivamente durante la valutazione dinamica, e di contro, così come già accennato riguardo altri distretti anatomici, sia parimenti possibile la loro parziale riduzione o completa scomparsa in condizioni di carico.
Considerato infatti come sia ormai assodato che le patologie dell’apparato muscolo-scheletrico siano da considerarsi come a genesi multifattoriale, appare evidente come la possibilità di valutarle nella loro effettiva interezza anatomo-funzionale, possa rappresentare un completamento notevole delle potenzialità diagnostiche di quanto attualmente disponibile in campo radiologico. ■
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