LA PAROLA AL RADIOLOGO
A cura del dott. Carlo Faletti
Resp. Traumatologia dello Sport - SIRM - Radiologia Muscolo-Scheletrica.
Il trattamento percutaneo ecoguidato della tendinopatia calcifica della cuffia dei rotatori
Giovanni Serafini, Nadia Perrone, Marta Baglietto, Luca Sconfienza* e Francesca Lacelli
Dipartimento Immagini ASL2 Ligure. Ospedale Santa Corona, Pietra Ligure. *IRCCS Policlinico San Donato, Milano.
La tendinopatia calcifica è malattia con elevata prevalenza nella III, IV e V decade di vita, presente, in modo asintomatico in una percentuale variabile dal 3 al 20%.
Essa è invece molto rara al di sotto dei 20 e oltre i 70 anni. Tra le spalle dolorose, circa il 7%(1) presenta una calcificazione intratendinea; tale dato raggiunge addirittura il 20% se si considerano i pazienti di età compresa tra i 30 e i 40 anni(2). Inoltre, il 70% dei pazienti affetti da tendinopatia calcifica è di sesso femminile.
Il tendine della cuffia dei rotatori più frequentemente colpito è il sovraspinato (80% dei casi), seguito dall’infraspinato (15%) e dal sottoscapolare (5%)(2). Le zone più colpite sono
il terzo inferiore dell’infraspinato,
la zona critica del sovraspinato e le fibre preinsezionali del sottoscapolare nella sede più craniale del tendine.
La natura fisica dei depositi calcifici è controversa. Definita con metodi fisici (Rx a diffrazione, spettroscopia all’infrarosso), essa appare riferibile ad idrossiapatite o, più probabilmente, a carbonato di apatite(2).
L’eziopatogenesi della tendinopatia calcifica non è completamente nota. Lo sviluppo di questa patologia sembra essere attribuito ad un focale aumento di pressione all’interno del tendine, unito ad una diminuzione della tensione parziale di ossigeno.
In tali condizioni si determina una metaplasia cartilaginea ed osteoblastica dei fibroblasti tendinei che iniziano a produrre matrice cartilaginea ed ossea all’interno del tendine stesso. Poiché la metaplasia si verifica dove il tessuto fibroblastico conserva le sue caratteristiche di vitalità, viene così a spiegarsi la bassissima incidenza di associazione con rottura tendinea (4). Nella nostra casistica l’associazione tra calcificazione intratendinea e concomitante rottura di cuffia è evento raro (0,3%). Comunque il materiale calcifico non è certamente la risultante di un deposito su aree necrotiche. L’analisi microscopica del materiale estratto dalle calcificazioni dimostra l’assenza di fenomeni di necrosi e la presenza di condrociti in diversi stadi evolutivi.
è noto, in letteratura, che la calcificazione attraversa varie fasi evolutive. Ad una fase di formazione, in cui la calcificazione si organizza e che corrisponde generalmente alla fase asintomatica, consegue, successivamente, in tempi diversi ed imprevedibili, una fase di lisi spontanea in cui la calcificazione diventa edematosa, si frammenta disperdendo il suo contenuto all’interno del tendine o, dopo aver perforato la borsa sotto-acromion-deltoidea, all’interno della borsa stessa. Questa fase coincide con la comparsa dei sintomi che consistono in algie, anche violente, ad esordio soprattutto notturno, riduzione della motilità articolare fino a veri e propri quadri di spalla congelata.
Il dolore tipicamente si irradia alla faccia esterna del braccio omolaterale con estensione anche all’avambraccio; in alcuni casi è presente anche un’irradiazione alla regione cervicale. Le calcificazioni del tendine sottoscapolare e quelle localizzate in prossimità del tendine del capo lungo del bicipite brachiale possono determinare un dolore intenso anche a livello della faccia anteriore del braccio esteso fino alla fossa ante cubitale(5-6).
La classificazione proposta da Uhthoff descrive quattro stadi evolutivi calcifici (cosiddetto Ciclo di Uhthoff): un primo stadio precalcifico in cui sono presenti condrociti circondati da matrice metacromatica dovuta all’elaborazione dei glucosaminoglicani con completa assenza di neovascolarizzazione,un secondo stadio calcifico in fase formativa nel quale i condrociti incorporati nella matrice metacromatica si dispongono alla periferia dei depositi di sali di calcio (cristalli di idrossiapatite), la consistenza è di tipo gessoso e la compattezza proporzionale alla loro radiodensità, un terzo stadio calcifico in fase di riassorbimento favorito dalla crescita di nuovi vasi e dalla proliferazione cellulare, in particolare fagociti, cellule giganti e una minima parte di neutrofili. Questi fenomeni determinano una modificazione della consistenza del deposito calcifico che diviene più liquido ed un aumento della pressione intratendinea che risulta la causa principale dell’intenso dolore riferito dai pazienti in questa fase. L’ultimo stadio è costituita dalla ricostruzione del tendine con deposizione di fibre collagene di tipo III sia a livello perivascolare che in maniera casuale, successivamente sostituite da fibre orientate lungo l’asse maggiore del tendine.
Dal punto di vista ecografico e per la valutazione preliminare al trattamento, risulta utile suddividere le calcificazioni intratendinee come descritto in Tabella 1. Le calcificazioni di tipo A hanno struttura molto compatta, con dolore di livello medio ma con elevata limitazione funzionale.
Le calcificazioni di tipo B sono molto meno compatte. Le calcificazioni di tipo C sono generalmente piuttosto fluide ed il loro contenuto assomiglia alla pasta dentifricia.
Sia il tipo B che il tipo C corrispondono alle fasi iniziali del riassorbimento in cui il dolore è molto violento e l’impotenza funzionale è pressoché assoluta (crisi iperalgica).
Le calcificazioni di tipo D rappresentano lo stadio evolutivo finale della calcificazione prima del suo riassorbimento spontaneo.
Nelle calcificazioni di tipo E, il deposito calcifico ha perso la sua compattezza e la tecnica di lavaggio può essere difficile o impossibile poiché la soluzione fisiologica introdotta non viene contenuta dalle pareti calcifiche e si diffonde all’interno della cuffia dei rotatori invece di uscire dall’ago di drenaggio (Figura 1-2).
Trattamento della tendinopatia calcifica della cuffia dei rotatori
Nell’arco della sua evoluzione fisiologica, la tendinopatia calcifica presenta una risoluzione spontanea che può avvenire in un tempo variabile, da alcuni mesi fino ad oltre dieci anni.
Per questo motivo, il trattamento scelto dovrebbe essere non solo efficace, ma contemporaneamente garantire la minore invasività e la più bassa percentuale di complicanze possibili.
Non vi è alcuna indicazione al trattamento delle calcificazioni asintomatiche e che non determinano impotenza funzionale. Al contrario, il trattamento diventa urgente ed indispensabile al momento della comparsa della crisi iperalgica, a cui si associa un’impotenza funzionale pressoché completa.
La procedura deve essere eseguita utilizzando un ecografo dotato di sonda lineare ad alta risoluzione e ad alta frequenza. Il trattamento deve essere preferibilmente eseguito, all’inizio dell’esperienza, da due operatori (un radiologo con esperienza ed un assistente che mantenga la sonda in posizione corretta durante tutta la procedura). Ad esperienza acquisita anche un solo operatore, assistito da una infermiera, può eseguire correttamente l’intero trattamento.
Il paziente viene posizionato semisupino o semiassiso sul lettino, con l’arto superiore interessato completamente disteso lungo il corpo(14).
La procedura deve essere ovviamente eseguita in condizioni di ottimale sterilità per cui è necessario che la sonda ecografica sia disinfettata con una soluzione sterilizzante idonea oppure rivestita con appositi copri-sonda.
La cute del paziente deve essere disinfettata, il campo di lavoro deve seguire le comuni regole del “campo sterile” chirurgico e gli operatori devono indossare mascherina, guanti sterili e possibilmente camice sterile.
Materiali
Aghi.
Nella procedura da noi proposta utilizziamo generalmente aghi di calibro medio grosso (16G), con punta tagliata a becco di clarino, più corti possibile (5-6 cm), compatibilmente con la profondità dell’obiettivo da raggiungere.
Possono essere utilizzati anche aghi spinali di maggior lunghezza, in soggetti con muscolatura molto sviluppata o con pannicolo adiposo accentuato e, quindi, con localizzazione profonda delle calcificazioni.
Anestetico.
Gli anestetici più utilizzati per questa metodica sono la lidocaina cloridrato e la mepivacaina cloridrato in concentrazione al 2-3%, poiché dotati di una buona rapidità d’azione e una durata compatibile con l’esecuzione e la conclusione del trattamento.
In genere vengono utilizzati 10-15 ml di mepivacaina al 2% .
Procedura
Una volta visualizzata ecograficamente la calcificazione, il radiologo inizia la procedura di rimozione della inducendo l’anestesia locale nel paziente.
Circa due terzi dell’anestetico viene iniettato all’interno della borsa subacromion-deltoidea, mentre un terzo viene iniettato a livello dell’inserzione cutanea degli aghi, lungo il loro decorso ed in sede pericalcifica.
Dopo alcuni minuti dall’induzione dell’anestesia, due aghi da 16 Gauge vengono inseriti all’interno della calcificazione sotto costante guida ecografica (Figura 3, 4).
Le modalità di inserimento e il decorso dei due aghi variano in base alla localizzazione della calcificazione. L’ago deve essere posizionato sull’asse maggiore della calcificazione e pressoché ortogonale al fascio di ultrasuoni. Una siringa da 20 ml piena di soluzione salina (NaCl 0,9%) viene quindi collegata a uno degli aghi e l’operatore inizia ad esercitare pressione sullo stantuffo in modo da vincere la tensione interna alla calcificazione iniettando all’interno di essa la soluzione acquosa.
Il materiale calcifico a contatto con la soluzione salina inizia a sciogliersi e viene gradualmente espulso attraverso l’altro ago. Questo passaggio viene ripetuto più volte (in genere 10-20), fino all’iniezione totale di circa 200-400 ml di soluzione salina e comunque fino a quando il liquido di lavaggio risulta completamente privo di calcio visibile (Figura 5).
Una volta completata la fase di lavaggio, uno dei due aghi viene estratto dalla spalla. L’altro ago invece viene dislocato dal tendine all’interno della borsa subacromion-deltoidea, dove viene iniettata una dose di steroide a lento rilascio sotto diretta guida ecografica. L’introduzione di Acido Ialuronico avviene in relazione alle condizioni locali della borsa sotto-acromion-deltoidea, per prevenire l’insorgenza di borsiti adesive.
A questo punto viene estratto anche il secondo ago e si procede all’applicazione di un bendaggio lievemente compressivo.
Il paziente viene successivamente tenuto in osservazione per circa 30 minuti e quindi dimesso.
Il protocollo di trattamento prevede l’applicazione locale di ghiaccio per le 4-6 ore successive alla procedura.
Qualora la valutazione clinica preliminare abbia evidenziato un ridotto grado di escursione articolare, nei giorni successivi al trattamento, ai pazienti viene consigliato di sottoporsi ad almeno due cicli di fisiochinesi passiva, al fine di favorire una corretta ripresa dell’attività muscolare del cingolo scapolo-omerale.
Risultati del trattamento
I diversi studi che hanno analizzato il trattamento percutaneo ecoguidato della tendinopatia calcifica hanno riportato risultati globalmente soddisfacenti, pur con lievi differenze tra gli Autori(5-13).
Un nostro studio, pubblicato recentemente, ha confrontato i risultati fino a dieci anni di un gruppo di 219 pazienti affetti da tendinopatia calcifica della cuffia dei rotatori trattato con una procedura percutanea ecoguidata a due aghi con quelli ottenuti in un gruppo di 68 pazienti non trattati affetti dalla stessa patologia(14).
La valutazione dell’efficacia del trattamento è stata effettuata mediante l’utilizzo del Constant’s score e di una Visual Analogue Scale.
Gli Autori hanno dimostrato che i pazienti trattati hanno un miglioramento clinico statisticamente significativo rispetto ai pazienti non trattati al controllo ad un mese, tre mesi ed un anno. Tuttavia i risultati clinici dei pazienti trattati non sono risultati essere significativamente differenti rispetto ai non trattati ai controlli eseguiti a cinque e dieci anni dalla presentazione dei sintomi.
Questo conferma sostanzialmente il fatto – già espresso in precedenza – che la tendinopatia calcifica della cuffia dei rotatori presenta un suo ciclo naturale, con durata variabile, grazie al quale anche i pazienti non trattati guariscono spontaneamente dopo un certo tempo.
Nel medesimo lavoro, gli Autori hanno riportato un’incidenza pari
a circa il 13% di borsiti post-procedurali di tipo chimico, verificatesi mediamente a due mesi dall’esecuzione della procedura, addebitato allo spandimento di materiale calcifico all’interno della borsa subacromion-subdeltoidea(10-13).
Pur in assenza di veri e propri studi randomizzati tra pazienti trattati con altre metodiche e pazienti trattati per via percutanea ecoguidata, si può affermare che quest’ultima procedura produca risultati sostanzialmente sovrapponibili a quelli ottenuti con la chirurgia, con un’invasività decisamente inferiore. ■
Bibliografia
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