Botta&Risposta con C. Eirale e G.N. Bisciotti
Accanto a vini pregiati, abiti firmati e prelibatezze culinarie, ultimamente la nostra bella Italia
sembra aver cominciato ad esportare un’altro prodotto, vanto del nostro Belpaese, la Medicina dello Sport. Due specialisti del settore, infatti, dopo aver lavorato per qualche tempo insieme in Italia, sono ora colleghi nel centro di eccellenza FIFA Aspetar, il Qatar Orthopedic and Sport Medicine Hospital, situato a Doha, capitale del Qatar. In questa struttura, diretta dal chirurgo Gerard Saillant, direttore medico della FIA (famoso per aver operato tra gli altri Michael Schumacher e Ronaldo) figure che ruotano intorno alla Medicina dello sport provenienti da tutto il mondo collaborano in una babele professionale più unica
che rara. Ad aggiungere lustro a questo sodalizio professionale (e ad una amicizia profonda ci confessano), questa estate il Dott Eirale e il Prof Bisciotti sono stati chiamati dalla Nazionale dell’Algeria per
supportare la squadra dal punto di vista medico sportivo e fisiologico durante i mondiali in Sudafrica.
Cominciamo con il Dott Eirale: quali strade l’hanno portata fuori dall’Italia, specialmente in Qatar?
La possibilità di perseguire una carriera ad alto livello e ricca di soddisfazioni. Io amo il mio mestiere e fin da piccolo volevo fare il medico sportivo. è la mia prima e unica specializzazione, eppure molte volte mi sono chiesto, negli anni passati, prima di emigrare, se avessi fatto bene, se davvero la scelta fosse stata felice. Un gruppo di specialisti bistrattati, spesso identificati solamente con la figura medica che concede l’idoneità alla pratica sportiva, meno pagati, meno utili e meno preparati di altri. Fino a quando, un giorno, propongo il mio CV ad una persona che incontro grazie al prof. Bisciotti e che mi propone, qualche tempo dopo, di andare a lavorare in una clinica di patologia sportiva a Doha, appunto, la capitale del Qatar, penisola del Golfo Persico. Un progetto ambizioso, una visione lungimirante, un’occasione imperdibile, insomma. Finalmente un posto in cui un medico dello sport si potesse realizzare da tutti i punti di vista. Con molto entusiasmo e un pizzico di incoscienza mi ritrovo in un posto futuristico, la Sport City di Doha, all’interno della quale si trova la “mia” clinica.
La “sua” clinica?
Si, la “mia” clinica. La sento tale perchè il giorno i cui aprì, quasi quattro anni fa, ormai, l’unico medico dello sport presente ero io. Arrivai, infatti, mesi prima, quando l’ospedale era ancora chiuso e il recruitment appena cominciato. Ecco allora che l’ho visto crescere, giorno per giorno, dipartimento per dipartimento e svolgendo in prima persona buona parte del recruitement stesso, proprio io che ancora oggi sono il medico più giovane.
Un inizio da manager più che da medico.
Un’altra grande esperienza che rimarrà per sempre nel mio bagaglio professionale. Ora siamo quasi 500 persone, di sessanta nazionalità diverse, ma quando arrivai eravamo una trentina.
E sono stato testimone diretto di una crescita così imponente, con tutti i problemi annessi e gli imprevisti calcolabili e non. Sicuramente, dovessi creare qualcosa di similare oggi, partirei avantaggiato da quasta esperienza sicurarmente unica.
Come è stato l’inizio da medico vero e proprio?
Non facile all’inizio. Esercitare la professione in una lingua non propria (inglese, ndr), su pazienti con un background culturale completamente differente e con colleghi con approcci a problemi medici dissimili ai propri, non è il massimo. Le difficoltà ci sono state ma sono arrivate anche grandi soddisfazioni.
Ad esempio?
Innanzitutto la sensazione di migliorare di giorno in giorno, grazie a colleghi con esperienze completamente diverse, dai quali cercare di prendere ciò che la scuola e la professione in Italia non erano riusciti a darmi. Poi la possibilità di lavorare con mezzi all’avaguardia, senza l’assillo dei numeri di pazienti da visitiare o di quello che una terapia deve essere costo-effettiva oltre che “salute-effettiva”. Inoltre, il fatto di avere come pazienti solamente atleti e tra i quali anche atleti di elite che vengono a curarsi in Qatar.
Da medico dello sport, non le manca il campo?
No. Perchè il campo è sempre presente nella mia attività. Sono il responsabile, quasi dall’inizio della mia avventura all’estero, della Nazionale di calcio, con la quale completo la mia voglia di vivere appieno questa magnifica professione.
La partecipazione ad un grande evento come la coppa del mondo di calcio in Sudafrica, con la Nazionale dell’Algeria, poi, mi ha permesso di realizzare un sogno.
Quali aspetti della professione la interessano di più?
La traumatologia e la riabilitazione sportiva. Credo che siano un campo infinitamente vasto, spesso affrontato con superficialità o comunque sottovalutato. Una scienza molto diversa da quella applicabile al “normale” paziente. Inoltre, sono profondamente convinto che non possa esistere un buon medico che non dedichi parte della sua professione alla ricerca, spessissimo dimenticata in Italia.
E il Qatar mi ha anche dato la possibilità di lavorare in questo campo, anche se, devo dire la verità, il mio maestro è il prof. Bisciotti, con il quale ho pubblicato diversi articoli e sto scrivendo un libro.
Quali sono i progetti futuri?
Il Qatar mi sta dando tanto e per ora non ho fatto progetti di ritorno a casa. Ma un giorno, se dovessi ritornare nella nostra bellissima Italia, mi piacerebbe contribuire alla crescita della medicina dello sport, in modo da arrivare ad assumere l’importanza che merita. Sono altresì convinto che ci siano alcuni aspetti da migliorare; proprio il confronto con scuole importanti come quella australiana, nordeuropea, francese me l’ha fatto capire. Insomma, il discorso è ampio e credo che parta dal sistema scolastico, quindi non è corretto affrontarlo superficialmente, ma credo che sia un dibattito di un’importanza cruciale per tutti noi.
Ma il giorno in cui ritornerà in Italia, di che cosa
si vorrebbe occupare precisamente?
Credo che mi piacerebbe mettere a frutto tutto ciò che questa esperienza mi ha lasciato. Mettere su un centro di patologia sportiva, ad esempio, seppur probabilmente con minori risorse finanziarie (ride, ndr) ma comunque con una visione moderna della professione. E chissà che non sia proprio con il prof. Bisciotti!
Eppoi, probabilmente, ritornare a lavorare in un club di grande livello, dove mettere a frutto ciò che i miei colleghi provenienti dall’atletica, dall’hockey, dal rugby e anche dal calcio europeo e extraeuropeo mi hanno insegnato in questi anni.
Veniamo ora al Prof. Bisciotti, da quanto tempo è in Qatar e quale è il suo ruolo all’interno dell’Orthopedic and Sport Medicine Hospital di Doha?
Sono in Qatar ormai da un anno, qui il tempo passa veloce, il lavoro i progetti, gli impegni si succedono ad un ritmo incessante e fanno si che le settimane ed i mesi volino nel vero e proprio senso della parola. Presi servizio, qui in ospedale, il 2 gennaio del 2010 e mi ritrovo ad aver trascorso un anno senza nemmeno essermene accorto o quasi. Il mio ruolo è quello di Physiologist Lead all’interno di un progetto, denominato Qatar Sport Medicine Project, che prevede la ristrutturazione dei 10 club di calcio di serie A del Qatar. è un progetto molto ambizioso che contempla, oltre all’allestimento di un laboratorio di Medicina dello Sport e di valutazione funzionale all’interno di ogni club, la formazione del personale operante all’interno di ogni struttura.
Dopo un anno di lavoro abbiamo già varato i due primi laboratori di valutazione nel club di All Sadd e di Rayann, davvero una grossa soddisfazione professionale. Oltre a ciò fornisco anche la mia consulenza per ciò che riguarda i piani di lavoro riabilitativi di tutti gli atleti che si rivolgono al nostro centro che sta diventando sempre di più un vero e proprio punto di riferimento per tutto il Sud Est asiatico e non solo per quello. Basti pensare che la Nazionale di Atletica Leggera Francese o la Nazionale di Calcio Algerina, solo per citarne alcune, sono ormai diventate dei nostri “affezionati clienti”, se mi passate il termine.
Quali sono le ricadute pratiche di un simile progetto?
Le implicazioni pratiche sono davvero tante e tutte di grande valenza. La raccolta sistematica dei dati ci sta permettendo di costruire un data base che ci servirà per far partire un progetto ancora più ambizioso, quello della creazione di una rete neurale il cui scopo sarà quello di poter effettuare delle previsioni statistiche sull’incidenza degli infortuni, nonché di realizzare la validazione ed il controllo sia dell’allenamento atletico che dei protocolli riabilitativi. Questo è a mio pare uno dei campi d’intervento principali nel futuro della Medicina dello Sport.
Un progetto molto ambizioso in effetti.
è vero ma è altrettanto vero che qui le risorse umane, ed anche quelle economiche, ci permettono realmente di poterlo perseguire. Il Qatar ha scelto di percorrere una strada di eccellenza nel campo sportivo, non a caso ha posto la sua candidatura per i prossimi mondiali di calcio del 2022.
Ci parli ora della vostra esperienza con la Nazionale di
calcio Algerina ai Campionati del Mondo di calcio 2010.
è stata un’esperienza veramente unica, che ho condiviso con il mio grande amico Cristiano, che ci ha permesso non solo di assistere e vivere in prima persona ad un evento sportivo straordinario ma anche di poter avvicinare una realtà ed una cultura, come quella Africana, veramente affascinanti. Insomma, abbiamo vissuto quella che, a tutti gli effetti, si può definire come una vera e propria “esperienza di vita”. In questo momento stiamo ancora seguendo la Nazionale di Calcio Algerina in un’altra avventura eccezionale, che anche questa volta va al di là del solo aspetto sportivo: la Coppa d’Africa 2012.
Una grande esperienza condivisa con un grande amico quindi?
Certamente si. Anche se, a questo proposito, ci tengo a dire che non è assolutamente vero che io sono il “maestro” di Cristiano per quello che riguarda la ricerca nell’ambito della Medicina dello Sport che insieme stiamo svolgendo, come lui molto generosamente ha detto. La verità è che ognuno di noi due complementa l’altro, vuoi per la diversa formazione, vuoi per le diverse esperienze professionali, poi la nostra amicizia, che è una amicizia vera e profonda, rinsalda il tutto.
Anche per lei un ultima domanda che abbiamo posto anche al Dr. Eirale: quali sono i suoi progetti per il futuro?
In Italia coordino già da tempo una catena di Centri specializzati nella riabilitazione ortopedica dello sportivo, i Kinemove Rhabilitation Centers di Pontremoli (MS), La Spezia e Parma. Tra qualche anno vorrei ritornare definitivamente in Italia e dedicarmi a tempo pieno a questo progetto, potenziandolo ancor di più con l’apertura di altri centri sul territorio italiano... e chissà che non sarà ancora una volta con Cristiano...
l’avventura continua?
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