Diagnostica cardiovascolare in Medicina dello Sport
g. galanti*, L. Stefani**
* Professore Ordinario di Medicina Interna – Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport - Università degli Studi di Firenze.
Direttore Agenzia di Medicina dello Sport - Università degli Studi di Firenze
** Dirigente Medico AOUC- Agenzia di Medicina dello Sport - Università degli Studi di Firenze
Introduzione
La salvaguardia della salute dell’atleta e la prevenzione delle malattie legate all’attività sportiva, in primis della morte improvvisa cardiaca, costituisce uno dei campi fondamentali della medicina preventiva, per il quale il nostro Paese è di esempio per molti (1-2). La tanto discussa “visita di idoneità” rappresenta infatti uno screening di massa della popolazione sportiva, oggi sempre più ampia ed eterogenea, comprendendo soggetti dagli 8 anni di età, (età d’esordio dell’attività agonistica per alcune discipline sportive) fino ai 70 ed oltre. Poiché la morte improvvisa nell’atleta è generalmente associata a patologie dell’apparato cardio-circolatorio, lo screening si pone come obbiettivo principale l’identificazione precoce di anomalie cardiache, strutturali o funzionali, asintomatiche o latenti, che possono costituire un rischio per la salute e la vita dell’atleta (3-4-5).
Accanto all’anamnesi e all’esame obbiettivo, momenti cruciali nell’inquadramento di ogni paziente, la valutazione cardiologica “standard” prevista dalla nostra legislazione, ai fini del giudizio di idoneità all’attività sportiva agonistica, comprende un ECG basale e un test da sforzo eseguito con modalità e protocolli diversi in funzione dell’età dell’atleta. Tuttavia le indagini cardiologiche non invasive ed invasive oggi a disposizione del medico sportivo sono molteplici; benché molte di esse siano di pertinenza strettamente specialistica, fondamentale è la conoscenza delle stesse, dei limiti ed i vantaggi di ognuna e le indicazioni specifiche in medicina dello sport. Le metodiche non invasive sono più spesso sufficienti a stabilire la presenza di patologia cardiaca e l’eventuale rischio derivante da una attività fisica intensa e solo in un numero assai limitato di casi è necessario ricorrere ad esami invasivi quali il cateterismo cardiaco o lo studio elettrofisiologico endocavitario.
Le indagini non invasive attualmente più utilizzate in cardiologia dello sport sono:
- L’ECG: basale e secondo Holter
- Il test da sforzo
- L’ecocardiogramma basale e da sforzo
A questi esami di primo e secondo livello si affiancano esami cardiologici di III livello, eseguiti solo in pochi centri specialistici, quali:
- Studio elettrofisiologico transesofageo ed endocavitario
-Test dell’alternanza dell’onda T
- Ecocardiografia transesofagea
Infine le più moderne tecniche di imaging come la RMN e la TAC Spirale coronarografia sono entrate come metodiche diagnostiche in cardiologia dello sport, sebbene ancora con limitate indicazioni e assai limitata disponibilità.
L’elettrocardiogramma a riposo
L’ECG rimane ancora oggi l’esame di primo livello più economico e di più facile esecuzione al fine di uno valutazione iniziale della popolazione sportiva. Come è ben noto l’ECG registra esclusivamente l’attività elettrica delle cellule miocardiche ed è solo in parte influenzato dalle modificazioni anatomiche, fisiologiche (come nel cuore d’atleta) o patologiche, che l’organo subisce. Nell’ambito della valutazione cardiologica ai fini dell’idoneità sportiva solo un ECG normale, associato ad anamnesi ed esame obbiettivo privi di elementi di patologia possono con ragionevole certezza indicare una condizione di cuore sano, mentre tutte le condizioni di “anormalità” dovranno essere ulteriormente indagate.
Alterazioni del ritmo e della morfologia sono peraltro di frequente riscontro negli sportivi, soprattutto in atleti allenati per sport di resistenza ad elevato impegno cardio-circolatorio, nei quali ogni frazione dell’ECG può risultare modificata, in conseguenza dei fenomeni di adattamento a cui il cuore va incontro (6-7-8). Sebbene nella maggior parte dei casi questi ECG “anomali” si associno ad assoluta negatività di reperti anamnestici ed obbiettivi, specie di fronte ad anomalie marcate, si dovrà prendere in considerazione la possibile presenza di una patologia cardiaca ancora asintomatica e indirizzare l’atleta a sottoporsi ad esami di II ed eventualmente III livello per chiarirne la natura e distinguerle con certezza da anomalie patologiche.
Le alterazioni ECG grafiche che possono ritrovarsi negli atleti sono state studiate su casistiche molto ampie e classificate in tre gruppi:
- I: modificazioni fisiologiche: queste sono la conseguenza dell’allenamento e costituiscono elementi caratteristici del “cuore d’atleta” (bradicardia sinusale, BAV I grado, battiti o ritmi di scappamento striali e giunzionali). Tali “alterazioni” che tipicamente scompaiono con il detraining, sono da considerarsi varianti della norma e non richiedono ulteriori indagini.
- II: modificazioni “border-line”: anch’esse sono generalmente espressione dello stato di allenamento e quindi “benigne”, tuttavia devono essere indagate in modo approfondito per distinguerle con certezza da anomalie patologiche (marcate aritmie ipocinetiche, BAV di grado avanzato, anomalie della ripolarizzazione ventricolare)
- III: modificazioni anormali: sono reperti rari negli atleti, non rientrano negli adattamenti funzionali all’allenamento e devono considerarsi patologiche (aritmie ipercinetiche, preeccitazione cardiaca, blocchi di branca, blocchi bifascicolari…)
La presenza di alterazioni ECGgrafiche riferibili al II o III gruppo impone l’esecuzione di esami di secondo livello: in prima istanza un ecocardiogramma per valutare la presenza di anomalie strutturali, un ECG dinamico secondo Holter con seduta di allenamento ed un test da sforzo massimale, per ricorrere eventualmente ad esami ulteriori altamente specialistici (RMN, test dell’alternanza onda T, studio elettrofisiologico) quando i primi non siano stati sufficienti a chiarire la natura begnigna o patologica delle alterazioni riscontrate.
Nella nostra esperienza come Centro di Medicina dello Sport di II livello presso la Università di Firenze, abbiamo potuto confermare , attraverso una indagine condotta su un’ ampia casistica di atleti competitivi non professionisti (più di 300 atleti di età compresa tra 18 e 70 anni) sia l’ importanza della visita medica come screening iniziale in medicina dello sport sia il significato clinico ed il comportamento di alcune tra le più frequenti aritmie tra gli atleti. In realtà la maggior parte delle extrasistoli in particolare la extrasistolia ventricolare, non rappresenta quasi mai tra gli sportivi un fenomeno correlabile a patologie cardiache di rilievo (9).Ciò tuttavia non esime il medico dello sport ed il cardiologo dall’ intraprendere una attenta valutazione volta ad individuare quei soggetti in cui invece le aritmie sono espressione di una patologia potenzialmente maligna .
In accordo con i dati della letteratura (10) nel nostro studio è stata riscontrata una prevalenza di aritmie sopraventricolari soprattutto nei soggetti di età più avanzata e queste non hanno mai rappresentato una controindicazione alla idoneità sportiva. Questi risultati ci hanno consentito di confermare pertanto che nella gran parte dei casi, le aritmie negli atleti hanno una buona prognosi, tuttavia in molti casi la corretta diagnosi di aritmia presuppone una indagine ECG di almeno 24 ore che consta appunto nel monitoraggio secondo Holter .
L’ECG dinamico secondo Holter
L’Elettrocardiografia dinamica secondo Holter (ECGH) si è diffusa dagli anni ’70 rivoluzionando letteralmente la cardiologia ambulatoriale ed estendendosi successivamente nella cardiologia sportiva dove rappresenta attualmente un esame di grandissima utilità, spesso dirimente nella formulazione del giudizio di idoneità all’attività agonistica.
L’ECGH trova nell’ aritmologia il suo principale campo di applicazione: esso consente infatti di identificare l’aritmia (ipo o ipercinetica), di caratterizzarne gli aspetti qualitativi e quantitativi, di stabilirne i rapporti con il ritmo sonno-veglia e, aspetto di primaria importanza in Medicina dello Sport, con l’attività fisica, tanto che l’inclusione di una seduta di allenamento specifico è ritenuta indispensabile in ogni registrazione ECGH nell’atleta.
Oltre allo studio della patologia aritmica, che costituisce una delle principali cause di inidoneità allo sport agonistico, l’ECGH permette di studiare in modo approfondito e dinamico quelle “anomalie” che si riscontrano frequentemente nell’ECG basale nell’atleta e che sono state precedentemente classificate. Grazie alla metodica Holter è stato infatti possibile definire gli “standard di normalità” nell’atleta sano (11-12-13). Tuttavia, la maggior parte degli studi presenti in letteratura riguardano casistiche selezionate di atleti di elite giovani o giovani-adulti; scarsi sono altresì i riferimenti agli atleti non professionisti, competitivi o amatoriali, che costituiscono in realtà la maggior parte della popolazione sportiva.
Attualmente esiste la possibilità in molti centri di medicina dello sport ed anche nel nostro, di utilizzare registratori Holter a dodici derivazioni che consentono nella maggior parte dei casi di chiarire la morfologia di tutte quelle aritmie, o più precisamente di tutti quei battiti a complessi larghi che molto spesso, soprattutto se si verificano in rapida sequenza durante il test da sforzo, lasciano molti dubbi sulla reale assenza di una patologia cardiaca sottostante. Data la complessità dei software dedicati alla lettura ed inoltre la elevata competenza richiesta agli operatori medici che li analizzano, l’ Holter 12 derivazioni è indicato in casi molto selezionati.
Lo studio cardiologico dinamico non invasivo soprattutto se si tratta di sportivi competitivi non professionisti, in realtà viene completato spesso utilizzando l’ecocardiogramma da sforzo, esame che assume così in questo ambito, un ruolo fondamentale e dirimente la presenza di eventuali patologie sottostanti non evidenziabili a riposo.
Test da sforzo
Il test da sforzo è un test diagnostico usato routinariamente in Medicina dello Sport, essendo previsto dalla legge per la tutela sanitaria delle attività sportive agonistiche come parte integrante della visita di idoneità sportiva. Anche se le modalità di esecuzione e i protocolli utilizzati variano in funzione dell’età dell’atleta, nella quasi totalità dei casi viene effettuato uno sforzo di tipo isotonico (step-test, treadmill, cicloergometro), mentre lo sforzo isometrico ( con handgrip) è riservato a condizioni particolari.
La prova da sforzo al gradino ergometrico (step-test), è una metodica molto semplice ed economica, che nonostante i limiti diagnostici è tutt’oggi molto utilizzata in Medicina dello Sport per lo screening di massa in popolazioni giovani (<35 anni) e a bassa prevalenza di malattia coronarica. I principali limiti di questa metodica consistono nella oggettiva difficoltà di monitoraggio dell’ECG e della pressione arteriosa e nel fatto che nella maggior parte dei casi si tratta di un test sub massimale ( inferiore all’ 85% della frequenza cardiaca massimale ) e che non permette quindi una ottimale valutazione funzionale dell’apparato cardiovascolare né l’esplorazione della riserva coronarica. Inoltre, il tipo di sforzo “rettangolare” a carico fisso, può avere un importante effetto aritmogeno anche nel soggetto sano, specie se non allenato. Tali limiti rendono questa metodica del tutto inadeguata soprattutto nella valutazione del cosiddetto “atleta master” (ultraquarantenne), soprattutto se con scarsa condizione fisica e/o fattori di rischio coronarici. In questi sportivi, il cui numero è aumentato vertiginosamente nell’ultima decade, si impone l’esecuzione di un test da sforzo massimale (con raggiungimento dell’85% o più della FC max teorica per età) al treadmill o al cicloergometro, test che consente di esplorare l’intera riserva coronaria.
Sappiamo infatti dalla fisiologia che il flusso coronarico può aumentare, in assenza di lesioni, fino a 5 volte durante l’esercizio: questa capacità di adeguamento del flusso alle richieste metaboliche del muscolo cardiaco costituisce la riserva coronaria, che si identifica nel flusso massimo ottenibile con una vasodilatazione massimale. Nell’esercizio dinamico, l’aumento del flusso coronarico, segue linearmente l’aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa sistolica: pertanto, il doppio-prodotto raggiunto all’apice dello sforzo costituisce un buon indicatore della riserva coronarica. Risulta da ciò evidente l’importanza del test ergometrico nella valutazione degli atleti master (soggetti peraltro a bassa probabilità pre-test di malattia), nei quali il raggiungimento di frequenze cardiache massimali in assenza di alterazioni ECGgrafiche consente di escludere con ragionevole certezza la malattia coronarica, nonostante i limiti di sensibilità (77,8%) e specificità (65,4%) intrinseci alla metodica (14).
Recentemente è invalso l’ uso dell’“Hand Grip test” in medicina dello sport dove però per la maggior parte rimane, confinato nell’ ambito delle indagini ergometriche effettuate a fini di ricerca. L’ HG viene effettuato utilizzando una maniglia graduata che viene compresa fino al 30% della FCM stabilita per il soggetto. Con l’ HG pur utilizzando una piccola quantità di muscoli, si determina comunque un notevole incremento della PA sistemica ed inoltre anche della pressione intracavitaria al livello delle due camere ventricolari sia destra che sinistra e quindi può essere comunque utilizzato come test per idoneità sportiva ad esempio tra gli sportivi disabili, qualora non sia disponibile un altro strumento adeguato ad effettuare uno sforzo in questi casi particolari. Nel nostro laboratorio di emodinamica non invasiva l’impiego routinario dell’ HG test, ci ha consentito di svelare soprattutto tra gli sportivi di elite alcuni comportamenti peculiari del cuore di atleta dopo sforzo isometrico, molti dei quali non risultano evidenziabili con le tradizionali metodiche di indagine. Nel caso particolare sono stati studiati più di 40 atleti tra calciatori e rugbisti, confrontati con controlli sani di pari età (media 25 anni) attraverso uno studio ecocardiografico tradizionale suffragato dall’ uso di metodiche non invasive per il calcolo dello strain, parametro di deformazione oggi usato come indice di contrattilità. I risultati hanno messo in evidenza un aumento significativo della deformazione delle pareti miocardiche del ventricolo sinistro ed in parte anche destro negli atleti. Tale protocollo, ormai standardizzato offre la possibilità di effettuare comunque un test da sforzo con l’acquisizione ecocardiografica contemporanea di immagini di alta qualità non inficiate dai movimenti del corpo o dal tremore muscolare e pertanto successivamente utilizzabili per la stima di parametri cardiologici di recente acquisizione grazie a sofisticati software quali quelli dedicati allo studio della deformazione parietale ( 15-16-17)
Sembra di capire che tale tipologia di indagine ecocardiografica, applicabile sempre più in tutti casi, normali e patologici, abbia un brillante futuro garantendo così un ampio sviluppo ed una ulteriore svolta significativa alla cardiologia dello sport.
L’Ecocardiografia in Medicina dello Sport
L’Ecocardiografia rappresenta oggi la principale metodica a disposizione del cardiologo per lo studio morfologico e funzionale del cuore. Dalla sua introduzione, negli anni ’70 ad oggi, la rapida e “drammatica” evoluzione a cui è andata incontro ha reso l’ecocardiografia una metodica insostituibile della cardiologia non-invasiva. E non è certo eccessivo affermare che l’ecocardiografia ha rivoluzionato la cardiologia e la medicina dello sport, consentendo di definire le caratteristiche del cuore d’atleta nelle diverse discipline sportive, di stabilire i “limiti” della cosiddetta ipertrofia fisiologica (18-19) e i criteri morfologici e funzionali per la diagnosi differenziale con le forme patologiche di ipertrofia cardiaca, prima fra tutte la cardiomiopatia ipertrofica (20), ben nota al cardiologo sportivo come prima causa di morte improvvisa in giovani atleti. L’ecocardiografia ha permesso inoltre di seguire nel tempo la storia naturale del cuore d’atleta dall’età giovanile a quella avanzata ( 21-22) e di descrivere gli effetti del detraining .
Oltre al campo della ricerca e dello studio del cuore d’atleta, non certo inferiore il ruolo diagnostico dell’ecocardiografia in Cardiologia Sportiva nella quale, a nostro parere, dovrebbe assumere un ruolo di uguale, se non di maggiore importanza rispetto all’elettrocardiografia. Tuttavia si discute ancora sull’utilità dell’ecocardiografia come indagine di routine nello screening medico-sportivo principalmente per il rapporto costo/beneficio che appare ai più decisamente sfavorevole, considerando che il medico sportivo non è oggi in grado di effettuare un esame ecocardiografico, dovendo quindi ricorrere necessariamente all’aiuto del cardiologo, generalmente con tempi di attesa troppo lunghi per le esigenze dell’atleta che richiede il giudizio di idoneità alla attività agonistica.
Attualmente l’ecocardiogramma è considerato un esame di II livello, al quale indirizzare solo i soggetti con anamnesi familiare positiva per morte improvvisa cardiaca giovanile e coloro che presentino segni clinici (soffi, click, aspetto marfanoide…) e/o ECGgrafici (aritmie, alterazioni della ripolarizzazione ventricolare….) suggestivi di patologia. Tuttavia è ben dimostrato come la sensibilità e la specificità dell’esame clinico, peraltro di fondamentale importanza, non possa essere paragonata a quella dell’indagine strumentale: la conseguenza inevitabile è che molte anomalie cardiache asintomatiche e di scarsa rilevanza clinica, passano spesso inosservate.
Esperienze del AMS
Quanto sopra scritto trova conferma dalla revisione retrospettiva della nostra ampia casistica.
Dal I gennaio 2005 sono stati valutati presso il nostro centro 2811 atleti competitivi, di entrambi i sessi, in un range di età compresa tra gli 8 e i 70 anni. In quanto Centro di Riferimento Regionale di Medicina dello Sport nel quale possono essere effettuati esami cardiologici di II e III livello, 609 dei 2811 atleti (che definiremo gruppo A) sono giunti alla nostra osservazione dopo una iniziale valutazione in un centro di I livello della regione Toscana per approfondimenti diagnostici in presenza di segni clinici e/o ECGgrafici sospetti per patologia. 352 (che chiameremo gruppo B) erano invece atleti con patologie note (PVM, aorta bicuspide, DIV, DIA, stenosi subaortica da membrana, aritmie complesse, cardiopatia ischemica) diagnosticate in altri centri, inviati alla nostra attenzione per consulenza cardiologica o cardioaritmologica. I restanti 1850 (numero comunque assai rilevante! Che definiremo gruppo C) erano atleti alla loro prima visita di idoneità (la maggior parte bambini e adolescenti tra gli 8 e i 15 anni di età) o atleti con una storia agonistica di anni, sempre giudicati idonei con il protocollo previsto dalla nostra legislazione (tabella A o B a seconda dell’attività sportiva praticata, test da sforzo massimale se > 40 anni).
Tutti gli atleti sono stati sottoposti ad esame ecocardiografico mono-bidimensionale e ColorDoppler. I risultati dello screening ecocardiografico sono i seguenti:
1) atleti del gruppo A: 6 casi di bicuspidia aortica, 5 casi di PVM, 12 casi di insufficienza mitralica di grado medio non associata a prolasso, 8 casi di insufficienza aortica di grado medio
2) atleti del gruppo C:
- 40 casi di aorta bicuspide,
- 17 casi di PVM,
- 19 casi di insufficienza aortica su valvola normale,
- 14 casi di insufficienza mitralica di grado medio-severo non associata a prolasso,
- 4 casi di DIA,
- 1 caso di marcata dilatazione ventricolare sinistra (64-40mm in una donna ciclista, asintomatica) con frazione di eiezione ai limiti inferiori, attualmente in corso di valutazione.
Gli atleti con aorta bicuspide da noi diagnosticata (N=40; età=19±6,3) praticavano tutti attività agonistica da alcuni anni (media: 6± 3,2) ed erano sempre risultati idonei alle precedenti visite. Un soffio diastolico è stato auscultato in 12 di essi, un click elettivo in 6. L’ECG era nella norma in tutti gli atleti. Al momento della diagnosi la valvola era normofunzionante in soli due atleti, negli altri è stata documentata una insufficienza di grado variabile (da lieve-moderata a moderata-severa), in nessun caso era presente stenosi (dato che non meraviglia per la giovane età degli atleti). Le dimensioni della radice aortica (misurate a livello pre-bulbare, bulbare e postbulbare) e del tratto prossimale dell’aorta ascendente (misurata a 4 cm dall’anulus valvolare) sono risultate significativamente superiori negli atleti con aorta bicuspide rispetto ad atleti con valvola tricuspide confrontabili per sesso ed età. In 5 atleti è stata documentata una marcata dilatazione della radice aortica a livello bulbare e/o postbulbare (>45 mm), in due casi associata a valvola bicuspide normofunzionante. Questi ultimi atleti sono stati esclusi dall’attività sportiva agonistica così come 3 atleti con insufficienza aortica di grado severo. Gli altri continuano a praticare sport agonistico monitorizzati nel nostro centro in follow-up semestrale con ecocardiografia basale e da sforzo.
I risultati emersi dalla revisione della nostra casistica ci portano a riflettere sull’importanza dell’esame ecocardiografico, al momento della prima visita di idoneità, per lo screening della popolazione atletica, al fine di evidenziare precocemente quelle alterazioni congenite o acquisite che, pur rimanendo a lungo asintomatiche, possono aumentare la morbilità e la mortalità della popolazione sportiva.
In un’epoca in cui la tecnologia sta facendo passi da gigante pensiamo (e francamente ci auguriamo!) che l’ecocardiografo sarà presto uno strumento disponibile negli ambulatori di cardiologia dello sport al pari dell’elettrocardiografo. E sebbene ancora utopistico, sarebbe auspicabile che i medici sportivi della prossima generazione fossero in grado di effettuare un esame ecocardiografico “basale” per essere i diretti protagonisti dello screening della popolazione sportiva, e ricorrere al cardiologo solo in caso di documentata o sospetta patologia.
L’Ecocardiografia da sforzo
Accanto all’ecocardiografia “basale”, la cui importanza ed utilità nella valutazione dell’atleta è stata precedentemente considerata, l’ecocardiografia da sforzo ha avuto nell’ultimo ventennio, una sempre maggiore affermazione e diffusione in Cardiologia dello Sport ( 23-24). Essa è certamente una metodica ideale in quest’ ambito peculiare, per la possibilità di effettuare una valutazione dinamica, del tutto non-invasiva, di parametri morfologici e funzionali in una popolazione come quella sportiva, costituita da individui per lo più esenti da patologie clinicamente evidenti, non sono candidabili in prima istanza ad indagini invasive. Essa è inoltre una metodica dotata di grande versatilità rispetto ad altre (es.scintigrafia miocardica perfusionale), (25) in quanto non solo permette la valutazione dell’ischemia indotta dallo sforzo (attraverso la visualizzazione diretta di alterazioni della cinetica segmentaria), ma, grazie alla metodica Doppler, dà informazioni emodinamiche sul circolo polmonare e sugli apparati valvolari, diventando così metodica assolutamente unica ed insostituibile per il cardiologo sportivo (26). L’ecocardiografia da sforzo trova numerosi campi di applicazione nella popolazione sportiva di ogni età e livello di allenamento sono molteplici, in quanto consente di:
3) valutare in modo dinamico le modificazioni morfo-funzionali del cuore, in particolare del ventricolo sinistro, durante sforzo
4) valutare la risposta all’esercizio fisico dei principali parametri di funzione ventricolare, globale e regionale in presenza di patologia cardiovascolari silenti o paucisintomatiche, sia congenite che acquisite
5) effettuare una valutazione diagnostica di soggetti con sintomatologia dolorosa precordiale e o alterazioni della ripolarizzazione ventricolare a riposo e con ECG da sforzo positivo o “dubbio”. Questo impiego dell’eco da sforzo in Cardiologia dello sport risale a circa 20 anni fa ed è pressoché contemporaneo all’introduzione di tale metodica nella valutazione di soggetti coronaropatici per il rilievo di alterazioni reversibili della cinetica segmentaria del ventricolo sinistro legate ad ischemia indotta dallo sforzo (27).
6) definire il modello funzionale del “cuore d’atleta” nell’età evolutiva, come negli studi di Oyen e coll che hanno osservato, in giovani atleti praticanti discipline di tipo aerobico rispetto ai coetanei sedentari, un maggior incremento della gittata cardiaca dovuto ad un aumento della sistolica, piuttosto che della frequenza cardiaca, per incremento dell’inotropismo.
Esperienze del AMS
Presso il Centro di riferimento Regionale di Medicina dello Sport dell’Università di Firenze, dal 1° gennaio 2000 sono stati effettuati 1038 esami ecocardiografici da sforzo in atleti (710 M e 328 F, età media 34±15,2 anni) inviati alla nostra attenzione da centri di Medicina dello Sport di primo livello per un approfondimento di problematiche diverse evidenziate in occasione della visita di idoneità sportiva. Per quanto riguarda i criteri diagnostici, 301 atleti erano giunti con il sospetto di cardiopatia ischemica, campo diagnostico in cui l’ecocardiografia da sforzo ha dimostrato una sensibilità e specificità comparabili a quelle della scintigrafia miocardica; 271 erano portatori di valvulopatie congenite o acquisite, 153 erano ipertesi, 50 erano portatori di cardiopatie congenite minori (DIV, DIA, membrana sottoaortica), 249 avevano un quadro aritmico e 14 avevano anamnesi positiva per episodi lipotimici da sforzo.
Nella nostra ampia casistica l’ecocardiografia da sforzo ha confermato una notevole validità tanto nella valutazione funzionale del cuore d’atleta, quanto nella diagnosi di ischemica indotta dallo sforzo in sportivi “master” asintomatici, specialmente ove alterazioni della ripolarizzazione (peraltro molto frequenti nella popolazione sportiva di età medio-avanzata) non consentono una sicura interpretazione elettrocardiografia del test ergometrico e nel follow-up di atleti portatori di valvulopatie congenite (aorta bicuspide, PVM) o acquisite e di cardiopatie congenite semplici (quali DIV e DIA), che risultano compatibili con la pratica agonistica dell’attività sportiva.
In questa panoramica sulla diagnostica cardiovascolare in Medicina dello Sport riteniamo doveroso menzionare il test dell’alternanza dell’onda T (AOT) come una delle più interessanti metodiche non-invasive di recente introduzione, ancora scarsamente diffusa e a pochi nota. Tale metodica si sta dimostrando di grandissima utilità nella stratificazione del rischio in soggetti aritmici: essa costituisce infatti un valido strumento predittivo di aritmie ventricolari maligne tanto da essere proposta come metodica del tutto non invasiva in aggiunta, se non in alternativa, allo studio elettrofisiologico (SEF) endocavitario. Questa sua potenzialità rende l’AOT particolarmente affascinante per il cardiologo sportivo che molto spesso è chiamato a valutare atleti con quadri aritmici complessi, spesso non associati ad alterazioni strutturali né a sintomatologia soggettiva. Di vitale importanza, in questi atleti, è la distinzione di una condizione “funzionale”, benigna, inquadrabile nell’ambito della “sindrome del cuore d’atleta” da una patologica che può determinare un rischio attuale di morte improvvisa. Se nella maggior parte dei casi il dilemma può essere risolto in modo definitivo con esami non-invasivi di I e II livello, in alcuni casi si è costretti a ricorrere ad esami invasivi, non scevri da rischi, come lo studio elettrofisiologico endocavitario.
Grazie alle più moderne tecniche di analisi computerizzata è oggi possibile la misurazione della AOT nell’esame elettrocardiografico (a frequenza cardiaca sub-massimale) a livello di microvoltaggio (microvolt-AOT). I vantaggi derivanti dalla possibilità di ottenere informazioni comparabili a quelle dello SEF con un semplice ECG da sforzo tramite lo studio della microvolt-AOT sono evidenti, specie in ambito medico sportivo (28) .
Esperienze del AMS
In collaborazione con il Dipartimento Cuore e Vasi dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Careggi e di Aritmologia Clinica ed Elettrofisiologia dell’ Ospedale S.Donato Milanese, al fine di valutare la predittività della microvolt-AOT, rispetto allo SEF, come marker di inducibilità di aritmie ventricolari maligne, sono stati studiati 52 atleti competitivi (età media: 26±2 anni) con tachiaritmie ventricolari frequenti e complesse, candidati all’esecuzione di SEF. Gli atleti sono stati sottoposti ad ECG da sforzo con valutazione della microvolt-AOT e successivamente a SEF endocavitario per la corretta stratificazione del rischio aritmico.
Il test dell’alternanza è risultato negativo in 44 atleti, positivo in 8 e non interpretabile in 2. Lo SEF ha mostrato una concordanza con la microvolt-AOT in 43 dei 44 casi negativi (l’unico caso di discordanza era un soggetto in terapia con amiodarone che dai dati di letteratura può determinare falsi negativi all’AOT.
Degli 8 soggetti positivi all’AOT, 5 sono risultati positivi anche al SEF, 2 sono risultati negativi (1 ha rifiutato lo SEF). In conclusione, lo studio della microvolt-AOT ha mostrato un buon valore predittivo negativo rispetto all’inducibilità di tachiaritmie maligne indotte allo SEF endocavitario (17). Questo risultato è particolarmente incoraggiante agli occhi del cardiologo sportivo per il quale è di fondamentale importanza riuscire ad identificare con certezza i “veri negativi”. In definitiva, sebbene siano necessari studi di conferma a più ampia casistica, la microvolt-AOT appare una metodica potenzialmente in grado di aprire una nuova era nell’aritmologia dello sport.
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