A
cura del dott. Carlo Faletti
Resp. Traumatologia dello Sport - SIRM - Radiologia Muscolo-Scheletrica.
Ecografia e “free climbing”
E. Silvestri, B. Bartolini, M. Giglio
DI.ME.S - Dipartimento di Medicina Sperimentale
Sezione di Diagnostica per Immagini e Radioterapia - Università
degli Studi di Genova
Negli
ultimi anni si è registrato in Italia un forte incremento
del numero di persone che praticano “free climbing”,
con la nascita di nuovi centri indoor specializzati dove
è possibile apprendere in modo rapido e sicuro le tecniche
fondamentali e le più comuni prese dell’arrampicata sportiva
moderna. Il “free climbing”può avere luogo sia su "muri naturali" che
su "muri artificiali"(utilizzati per le competizioni).
Queste due condizioni di arrampicata differiscono sia per
la peculiarità dei movimenti richiesti che per le caratteristiche
intrinseche degli itinerari (sviluppo in metri e conseguente
tempo medio di percorrenza, tipologia delle pareti, forma
delle prese).
Come tutti gli altri sport anche il “free climbing”, soprattutto
se eseguito senza l’adeguata preparazione tecnica, può
essere associato allo sviluppo di patologia traumatica
o da overuse in particolare a carico delle strutture muscolo-tendinee
e legamentose della mano.
La sintomatologia più frequentemente riscontrata in questi
atleti è caratterizzata da dolore, tumefazione e limitazione
funzionale alle estremità. Tali sintomi possono in alcuni
casi essere attribuiti ad una tenosinovite dei flessori
delle dita e del carpo. Nel caso di una sintomatologia
ben localizzata a carico della IFP sono da considerare
tre principali patologie: lesioni delle pulegge, patologia
inserzionale del tendine flessore superficiale e flogosi
articolare.
Un breve richiamo anatomico è fondamentale per comprendere
la fisio-patologia e la biomeccanica delle lesioni osservate
in chi pratica “free climbing”.
A livello delle dita della mano si riconoscono due gruppi
di tendini flessori: superficiali e profondi. I tendini
superficiali si inseriscono a livello della base della
falange intermedia mentre i profondi si inseriscono alla
base della falange distale. Tali tendini decorrono, rivestiti
da guaina sinoviale, nell’ambito di canali osteofibrosi
che si estendono dal palmo della mano fino alla falange
distale. La “volta” di tali canali osteo-fibrosi è costituita
da fibre arcuate chiamate pulegge di riflessione anulari
(A) e cruciformi (C); tali strutture descrivono un arco
davanti e sopra i tendini, nelle sedi in cui deve essere
garantito un maggior contenimento. A livello di ogni dito
sono presenti cinque pulegge anulari (da A1 ad A5) e tre
pulegge cruciformi (da C1 a C3) (Fig. 1).
Le pulegge cruciformi si localizzano strategicamente nelle
sedi in cui è richiesta una flessibilità del canale osteofibroso
in modo da consentire il movimento delle articolazioni.
Il ruolo biomeccanico delle pulegge anulari è quello di
mantenere in sede i tendini che vi passano al di sotto
e che altrimenti verrebbero dislocati dall’azione muscolare;
lesioni di queste strutture di contenimento causano pertanto
instabilità dei tendini flessori.
Due tipi di presa sono più comunemente utilizzati in che
pratica “free climbing”: il “crimp grip” e lo “slope grip”,
caratterizzati da differenti sollecitazioni biomeccaniche
sulle pulegge e sui tendini flessori.
Lo “slope grip” si effettua con una flessione dell’articolazione
interfalangea distale di 50-70° e una leggera flessione
dell’interfalangea prossimale; questo tipo di presa non
è generalmente coinvolto nella patogenesi delle più comuni
lesioni delle pulegge e dei tendini.
Il “crimp grip” è caratterizzato invece da una iperestensione
dell’articolazione interfalangea distale e una flessione
dell’articolazione inerfalangea prossimale da 90 a 100°
(Fig.2). In questo tipo di presa le sollecitazioni biomeccaniche
a carico delle pulegge A2 e A4 sono notevolmente superiori
rispetto allo “slope grip” (sollecitazione 36 volte maggiore
a carico di A2 e 6 volte maggiore a carico di A4).Va sottolineato
come nel “crimp grip” tutto il peso corporeo viene scaricato
sulla sola estremità delle dita con una conseguente notevole
sollecitazione soprattutto delle pulegge A2 e A4 che
possono andare in contro a lesioni parziali o complete
e determinare instabilità dei tendini flessori.
La diagnostica per immagini, in particolare l’esame ecografico
ad alta risoluzione (apparecchiature provviste di sonde
ad elevata frequenza), unitamente all’esame clinico,
riveste un ruolo di primaria importanza nello studio
delle componenti tendinee e delle pulegge.
Per visualizzare le pulegge ed eventuali loro lesioni,
l’esame deve essere eseguito con tecnica statica (dito
iperesteso) e dinamica (flessione contro resistenza:
approssimativamente 10° IFD, 40° IFP).
L’esame ecografico dinamico, eseguito con trasduttori
lineari ad alta risoluzione, permette di differenziare
i tendini flessori profondi dai superficiali e di visualizzare
le pulegge. Per migliorare la visualizzazione di tali
strutture è consigliato utilizzare una grossa quantità
di gel come distanziatore. Vengono effettuate scansioni
longitudinali ed assiali; nelle prime i tendini si presentano
come bande nastriformi a medio-alta ecogenicità delimitate
da una linea iperecogena marginale corrispondente al
peritenonio e caratterizzati da una architettura interna
di tipo fibrillare.
Nelle scansioni traversali (asse corto) i tendini appaiono
come strutture a morfologia rotondeggiante o ovalare
e sono caratterizzati da numerosi echi puntiformi strettamente
ravvicinati e omogeneamente distribuiti.
Le pulegge sono visualizzabili in entrambe le scansioni
come sottili strutture lineari ipoecogene poste superficialmente
ai tendini flessori.
La patologia da “overuse” più frequentemente riscontrata
in chi pratica “free climbing” è la tenosinovite dei
flessori caratterizzata all’esame ecografico sia in scansioni
assiali che longitudinali dalla presenza di un alone
anecogeno che circonda i tendini e che è determinato
dalla distensione fluida della guaina tendinea (Fig.3).
In caso di rottura delle pulegge è fondamentale valutare
con precisione con esame dinamico la distanza tra il
tendine flessore profondo e la superficie ossea sottostante.
Nei soggetti sani questa distanza non deve essere superiore
ad 1-2 mm. In caso di patologia delle pulegge, il tendine
si allontana dal piano osseo e assume una morfologia
arcuata durante i movimenti di flessione con l’aspetto
tipico a “corda d’archetto”.
Si consiglia di eseguire almeno due misurazioni per puleggia
e calcolare il valore medio. Le scansioni longitudinali
sono le più adatte per la valutazione di questa distanza
perché offrono una visione panoramica di tutto il decorso
del tendine (Fig.4).

Il
riscontro di una distanza maggiore di 3 mm è indicativo
di una rottura completa della puleggia A2, una distanza
maggiore di 5 mm è patognomonica di rottura completa
delle pulegge A2 e A4 (Fig. 5 a-b). Il riconoscimento
precoce di queste lesioni è fondamentale per l’instaurazione
di un regime terapeutico adeguato e risolutivo e per
la prevenzione di possibili complicanze.

In conclusione, l’ecografia dinamica ad alta risoluzione
unitamente alla conoscenza precisa dell’anatomia della
regione e delle problematiche biomeccaniche , rappresenta
sicuramente un valido strumento diagnostico nell’inquadramento
della patologia tendinea del “free climber”.
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