Andamento epidemiologico
statistico dei traumi
nella pallamano Europea
P. Tamburrino



Una nuova terapia di fondo
per le tendinopatie?
Valutazione clinico-ecografica
in atleti con tendinopatia achillea
M. Muratore


La parola al Radiologo
Ecografia e “free climbing”
E. Silvestri



XV Congresso Internazionale di Riabilitazione Sportiva
e Traumatologia
Per due giorni Torino
è stata la capitale
della medicina di montagna
G.S. Roi



Il controllo farmacologico
del dolore artrosico
A cura della redazione




La terapia farmacologica
sintomatica dell’artrosi
G. Minisola




I NOSTRI
INSERZIONISTI
 
Muscoril
 
Ubimaior
 
Nitraket
 
Eutend
 
Contrast for life
 
Muscoril
 
Clody
 
Mobic
 
Dicloreum
 
Jointex
 










Anno 6 - Numero 2 - 2006
IL MEDICO SPORTIVO
Periodico di aggiornamento scientifico e
professionale


La terapia farmacologica sintomatica dell’artrosi

Giovanni Minisola
Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia - Ospedale di Alta Specializzazione “S. Camillo”
Azienda Ospedaliera “S. Camillo-Forlanini” - Roma

INTRODUZIONE
L’Artrosi è una malattia articolare cronica e degenerativa, talvolta associata a sinovite.
Le numerose linee-guida per il trattamento della malattia individuano negli analgesici e negli anti-infiammatori per via sistemica i farmaci di primo approccio per il controllo della sintomatologia; quelle dell’ACR (American College of Rheumatology) sono considerate di riferimento (1).
Tra i farmaci impiegati per la terapia sintomatica figurano gli analgesici, i FANS tradizionali e i Coxib.
La terapia con analgesici e con antiinfiammatori trova applicazione in tutte le fasi della malattia, con lo scopo di controllare il dolore, di migliorare la funzionalità articolare e, quindi, di rendere più agevoli i programmi riabilitativi di mantenimento o di recupero della mobilità delle sedi colpite.
La strategia terapeutica deve essere finalizzata ad affrontare la malattia secondo un approccio olistico in ordine al quale il trattamento deve essere personalizzato rispetto alle specificità del singolo caso e deve tenere conto di tutte le possibilità di intervento, non solo di quelle farmacologiche (fig. 1).


 

La terapia ottimale si fonda sulla corretta combinazione dei vari interventi possibili, ivi compresi quelli psico-sociali, quelli rivolti alla correzione della postura e quelli ergonomici.
L’importanza dell’approccio integrato è talvolta sottostimato o l’approccio stesso non è applicato in modo convinto e completo; ciò accade perché non sempre l’operatore è disponibile a una comunicazione verbale con il paziente che può risultare impegnativa e prolungata. Questa rassegna prenderà in considerazione esclusivamente la terapia sintomatica attuata con farmaci per i quali è riconosciuta un’azione antidolorifica e anti-infiammatoria e ai quali si fa classicamente riferimento quando si parla di terapia farmacologica sintomatica dell’artrosi.

ANALGESICI
Paracetamolo

Noto anche con il termine di acetaminofene, è il metabolita attivo della fenacetina. Il suo meccanismo d’azione non è ben definito, anche se sembra accertato che la brillante azione analgesica e antipiretica dipenda dall’inibizione selettiva a livello centrale della sintesi delle prostaglandine (PG). La mancanza di attività sulle ciclo-ossigenasi (COX) a livello periferico spiega la sua mancata azione anti-infiammatoria, anche se tale caratteristica sembra essere tipica solo dei bassi dosaggi (fig. 2).

 



L’impiego di questo farmaco ha avuto in passato una larga diffusione sulla base di uno studio di confronto pubblicato nel 1991 secondo il quale non erano evidenziabili differenze significative nell’artrosi del ginocchio tra il paracetamolo e l’ibuprofen. Un riesame di quello studio ed esperienze più recenti hanno messo in dubbio quei risultati talché, attualmente, è in corso una revisione critica circa l’impiego del paracetamolo, specie se protratto, sia per quanto attiene all’efficacia che per quanto riguarda la sicurezza (2).
La singola dose convenzionale per gli adulti oscilla tra 500 mg e 1 g da somministrare ad intervalli di 4-6 ore fino al dosaggio massimo complessivo giornaliero di 4 g. Per il paracetamolo esiste l’effetto ceiling secondo il quale, una volta raggiunto nel singolo soggetto il massimo effetto antalgico, questo non è ulteriormente incrementabile con l’aumento della dose.
Alle dosi generalmente impiegate di 2-3 g al dì il paracetamolo è ben tollerato, non danneggia la mucosa gastrica e non modifica la funzione piastrinica. A dosi maggiori il farmaco sembra comportarsi perifericamente come un FANS e, pertanto, è potenzialmente gastrolesivo; esiste inoltre il rischio di danno epatico e renale.
Il danno epatico insorge più facilmente ad alte dosi, specie negli epatopatici e nei dediti all’alcool, e può manifestarsi sotto forma di ittero o di epatopatia progressiva. In caso di sovradosaggio può verificarsi una necrosi epatica acuta che, per dosi particolarmente elevate, può essere fatale.
La tossicità renale, più rara di quella epatica, si manifesta sotto forma di nefrite interstiziale simile a quella da fenacetina. L’evidenza epidemiologica deve fare considerare la possibilità di una possibile tossicità renale anche alle dosi generalmente raccomandate.
Il paracetamolo interferisce, allungandolo, con il tempo di protrombina e, pertanto, in corso di contemporanea somministrazione di un anticoagulante occorre controllare più spesso l’INR.

Tramadolo
È un antagonista sintetico degli oppioidi, impiegato nei casi resistenti al trattamento antalgico con paracetamolo. La sua attività antidolorifica dipende dalla capacità di legarsi ai recettori µ degli oppioidi e di inibire il re-uptake della serotonina e della norepinefrina.
L’utilizzo del tramadolo deve essere preso in considerazione quando la sintomatologia persiste nonostante il paracetamolo e gli anti-infiammatori.
È disponibile in compresse da 50 mg e la dose totale giornaliera non dovrebbe essere superiore a 300 mg, da raggiungere progressivamente e lentamente, specie negli anziani.
Gli effetti collaterali più frequenti sono il vomito, la nausea e le reazioni disforiche. Sembra accertato, tuttavia, che l’insorgenza di effetti collaterali sia facilitata da dosi iniziali elevate e, pertanto, si raccomanda l’aumento progressivo della dose, iniziando anche con 25 mg/die. Un effetto collaterale raro sono le convulsioni la cui incidenza risulta più elevata nei pazienti con lupus, quando le dosi iniziali sono elevate e quando si raggiungono rapidamente alti dosaggi. Sono stati segnalati casi di dipendenza tra pazienti consumatori di oppiacei.

Oppioidi
Fanno parte dell’armamentario di sostanze analgesiche impiegabili in corso di artrosi (fig. 3).

 



La terapia cronica con oppioidi non ha però finora trovato largo impiego nelle malattie reumatiche soprattutto a causa di effetti collaterali, quali la nausea, il vomito, la costipazione, la ritenzione urinaria, la secchezza delle mucose, la confusione mentale e la depressione respiratoria.
Ciò nonostante gli oppioidi sono stati finora usati, sporadicamente e per brevi periodi di tempo, in pazienti con episodi di riacutizzazione particolarmente dolorosi e resistenti ai trattamenti classici.
Recentemente l’APS (American Pain Society) si è espressa a favore dell’impiego degli oppioidi anche per il controllo del dolore non neoplastico, in pazienti selezionati. Numerosi studi sembrano supportare adeguatamente tale posizione (3).
Ciò sta comportando un cambiamento dell’orientamento di pensiero circa l’impiego degli oppiodi in reumatologia e comincia a diffondersi la tendenza a favore del loro impiego in circostanze e casi particolari, purché ai pazienti e ai loro famigliari venga fornita una completa informativa circa le peculiarità di tali sostanze.
I pazienti candidati all’impiego di oppioidi sono quelli con malattia in fase iperalgica, con dolore continuo, non eleggibili per un intervento chirurgico e quelli nei quali una condizione di comorbidità controindica, quanto meno temporaneamente, l’impiego di altri farmaci (4).
Per il dolore da osteoartrosi l’oppioide ideale è quello che assicura un effetto antalgico prolungato, un dosaggio personalizzato e minimi effetti collaterali.
Tra i tanti oppioidi disponibili, quelli a lento rilascio sembrano essere i più indicati. Tra questi la buprenorfina e il fentanil a rilascio controllato transdermico consentono una buona flessibilità di dosaggio, permettono una applicazione ogni tre giorni e causano minori effetti collaterali rispetto ad altri principi attivi della stessa famiglia.

Altri analgesici
La completezza dell’informazione sull’argomento obbliga a ricordare altre sostanze anche se la loro utilità è talvolta aneddottica, non è basata sulla medicina dell’evidenza, non è sostenuta da studi controllati effettuati su casistiche numerose ed è stata mutuata da esperienze positive in altri modelli di dolore.
Tali sostanze sono l’aminofenazone, il nefopam, la noramidopirina e il propifenazone.
Si tratta di farmaci che trovano applicazione in pazienti già ad essi responsivi oppure per periodi di tempo limitati, ad integrazione della terapia in corso. Alcuni di essi, inoltre, hanno un seguito personale o nazionale che non sempre trova conferma in altre esperienze straniere.
Il ketorolac e il dexketoprofene, tradizionalmente considerati analgesici puri, sono in realtà FANS dotati di una buona attività antalgica.

FANS
L’acido acetilsalicilico è stato il primo FANS impiegato (sin dalla fine del 1800) per il trattamento di molte malattie dolorose, tra cui quelle reumatiche. Nel 1966 l’entrata in scena dei FANS non ne ha segnato la fine, anche se la necessità di dovere ricorrere a più somministrazioni nella giornata e gli effetti collaterali gastroenterici lo rendono senz’altro meno competitivo rispetto alle “new entries”.
I FANS commercializzati successivamente all’acido acetilsalicilico offrono rispetto a quest’ultimo alcuni vantaggi: efficacia anti-infiammatoria e analgesica ottenibile con modalità di somministrazione più agevoli, rapida comparsa dell’effetto terapeutico, effetti collaterali di minore entità, migliore tollerabilità, maggiore possibilità di scelta, maggiore accettazione da parte dei pazienti.
I FANS vengono tradizionalmente classificati in due modi: a seconda della classe chimica e a seconda dell’emivita. La seconda modalità risulta più utile della prima, giacché ha implicazioni pratiche nella scelta e nelle modalità di somministrazione del farmaco.
La maggior parte dei FANS sono acidi organici deboli lipofilici. Sotto il profilo chimico possono essere schematicamente suddivisi in acidici e non acidici; in rapporto all’emivita, in FANS a emivita breve, intermedia e lunga.
Una ulteriore classificazione prevede la loro suddivisione in rapporto alla generazione. Tra quelli di prima generazione figurano l’acido acetilsalicilico, l’indometacina e il fenilbutazone, appartengono alla seconda generazione il diclofenac, il piroxicam e il naprossene, sono di terza generazione il meloxicam, la nimesulide e il nabumetone. Da poco sono stati commercializzati anche in Italia l’aceclofenac e l’oxaprozina.
La classificazione dei FANS in rapporto alla generazione fa riferimento sia all’epoca di sintesi e commercializzazione, sia alla specifica capacità di inibire le due COX, COX-1 e COX-2.
In modo molto schematico, ma didattico, si può affermare che i FANS di prima generazione agiscono prevalentemente sulla COX-1, che quelli di seconda generazione sono equiattivi nei confronti delle due COX e che quelli di terza generazione svolgono azione inibente preferenziale nei confronti della COX-2.
Il principale, ma non esclusivo, meccanismo d’azione dei FANS è riconducibile, come è ben noto, alla produzione di PG in virtù della inibizione delle COX (5).
A questo riguardo alcuni punti meritano di essere sottolineati: l’inibizione delle COX avviene per acetilazione del sito attivo; i FANS non antagonizzano l’attività delle PG le quali, una volta sintetizzate, esplicano le loro azioni; l’effetto inibitorio delle PG sulla COX piastrinica è irreversibile; i composti salicilici non acetilati non inibiscono la sintesi di PG e, pertanto, non esplicano gli effetti collaterali associati a tale inibizione; i FANS inibiscono la COX piastrinica in modo reversibile e, quindi, il recupero funzionale di tali cellule avviene sospendendone l’esposizione al farmaco. Quest’ultimo dato deve essere tenuto in particolare conto quando occorre programmare la doverosa sospensione del FANS a un paziente per il quale è previsto un trattamento chirurgico, in ragione della interferenza negativa dei FANS sul processo coagulativo; in tali casi occorre sospendere il FANS prima dell’intervento; il periodo di sospensione per il singolo farmaco è approssimativamente calcolabile moltiplicando per cinque il numero delle ore corrispondente alla sua emivita.
Gli altri meccanismi d’azione dei FANS sono molteplici e svolgono ruoli quantitativamente differenti a seconda dei casi (fig. 4).

 

Una particolare attenzione è attualmente dedicata alla specifica capacità inibente delle metalloproteasi di matrice (6).
Un fattore limitante la somministrazione protratta è rappresentato dalla frequente comparsa di effetti collaterali gastroenterici associati all’uso prolungato di FANS. La possibilità di impiego dei Coxib, equiattivi rispetto ai FANS ma molto meno gastrolesivi, rende possibile e sicuro un trattamento tanto efficace quanto prolungato.
Gli effetti collaterali dei FANS, pur essendo più frequenti a carico dell’apparato gastroenterico, della cute e del sistema nervoso centrale, non risparmiano l’apparato cardiovascolare, quello respiratorio, il sistema ematopoietico, il fegato e il rene. La prevalenza di effetti collaterali da FANS è maggiore negli anziani e nei pazienti politrattati anche per complicanze della malattia di base o per altre malattie.
In molti casi gli effetti collaterali sono ascrivibili alla inibizione indiscriminata delle due COX, sia pure con percentuali di inibizione differenti verso le due isoforme a seconda del principio attivo.
L’inibizione della COX-1 è alla base della mancata produzione delle PG residenziali, tra cui quelle gastriche citoprotettive della mucosa, mentre l’inibizione della COX-2 determina la mancata produzione delle PG inducibili la cui sintesi avviene a seguito di stimoli flogogeni.
L’inibizione delle PG regolatrici di flusso, anch’essa COX-1 mediata, è la principale causa degli effetti collaterali dei FANS sul sistema cardiovascolare e sul rene. Possono così comparire, specie nei soggetti anziani e a rischio, ipertensione arteriosa, insufficienza cardiaca congestizia, iperpotassiemia, insufficienza renale ed edemi (fig. 5).

 

 

È obbligatorio nei pazienti che assumono cronicamente FANS controllare la pressione arteriosa e la funzione renale, pronti a sospendere il trattamento se necessario. È altresì opportuno il periodico controllo della funzione epatica e della crasi ematica oltreché, quando indicato, della cascata coagulativa. Come tutti i farmaci, anche i FANS possono avere importanti effetti idiosincrasici.
Un altro importante filone di ricerca nel campo del trattamento sintomatico delle malattie reumatiche riguarda la possibilità di inibire contemporaneamente sia la via ciclo-ossigenasica che quella 5-lipo-ossigenasica, responsabile della produzione dei leucotrieni che inducono lesioni gastriche e ulcere.
Partendo dal presupposto che l’inibizione più o meno selettiva della via ciclo-ossigenasica operi uno “shift” verso la via lipo-ossigenasica, è stato ipotizzato che l’inibizione di entrambi i percorsi possa tradursi in una efficace azione terapeutica e in una elevata sicurezza gastrointestinale. Il licofelone, capostipite della famiglia degli inibitori di entrambe le vie, ha dimostrato negli studi finora effettuati di essere un farmaco utile per modificare la sintomatologia delle malattie reumatiche e ben tollerato dal sistema gastrointestinale.

COXIB
Questa classe comprende gli inibitori specifici della COX-2, attualmente rappresentati sul mercato da celecoxib, etoricoxib e parecoxib. I Coxib si differenziano dai FANS tradizionali perché non inibiscono, a dosi terapeutiche, la COX-1.
Celecoxib ed etoricoxib trovano indicazione per il trattamento sintomatico delle più comuni malattie reumatiche (7, 8). La loro efficacia è risultata sovrapponibile a quella dei differenti FANS di controllo utilizzati nei numerosi “randomized clinical trials” condotti in tutto il mondo su migliaia di pazienti affetti da patologia reumatica di tipo degenerativo e infiammatorio.
L’aspetto più rilevante dell’impiego dei Coxib è quello relativo alla sicurezza gastro-enterica che con questa classe di farmaci risulta essere particolarmente elevata, consentendo il loro impiego anche in condizione nelle quali i FANS trovano importanti limitazioni d’uso per la presenza di fattori di rischio (fig. 6).

 

 

Al riguardo è stato segnalato che i pazienti con malattie reumatiche sono particolarmente esposti al rischio di gravi complicanze gastroenteriche da FANS tradizionali.
La sicurezza gastroenterica dei Coxib è di particolare interesse se si considera che le complicanze gastrointestinali da FANS hanno un rilevante impatto socio-economico, richiedono un costante impiego di risorse economiche e sono una causa significativa di morte tra la popolazione. Una rilevazione condotta negli Stati Uniti ha evidenziato che il numero di morti per complicanze gastro-enteriche provocate da FANS è superiore a quello da altre patologie, quali il mieloma multiplo, l’asma e la malattia di Hodgkin e che è di poco inferiore a quello per HIV e leucemia.
Studi endoscopici su larga scala hanno dimostrato che l’incidenza di ulcere gastriche e duodenali in corso di trattamento con i Coxib è significativamente più bassa di quella da FANS e sovrapponibile a quella da placebo. La spiegazione di questo dato risiede nella mancanza di inibizione della sintesi di PG che proteggono la mucosa gastrica. Un ulteriore vantaggio per i pazienti a rischio di sanguinamento gastrointestinale è rappresentato dalla ininfluenza dei Coxib sull’aggregazione piastrinica e sul tempo di sanguinamento (9).
Poiché le malattie reumatiche obbligano a un trattamento protratto con farmaci anti-infiammatori e poiché gli effetti collaterali gastro-enterici da FANS hanno finora rappresentato una condizione limitante, l’impiego dei Coxib consente oggi di attuare con maggiore sicurezza un trattamento prolungato (fig. 7).

 



Un argomento molto dibattuto è quello relativo ai rapporti tra COX-2 e apparati renale e cardiovascolare, entrambi sottoposti a una fisiologica regolazione che vede coinvolte anche PG regolatrici di flusso.
Nell’uomo la COX-2 è espressa a livello renale e la sua inibizione, analogamente a quanto accade con FANS, potrebbe avere ripercussioni sul flusso plasmatico renale, sul filtrato glomerulare e sulla ritenzione elettrolitica.
L’inibizione specifica della COX-2 può indurre ritenzione sodica e questo effetto è associato a diminuita produzione renale di PGI2. Ne consegue che i Coxib possono causare edema e rialzo pressorio e, sotto questo profilo, non sembrano teoricamente differenziarsi dai FANS classici.
In considerazione del rischio di possibili eventi trombotici cardiovascolari dopo trattamenti molto prolungati, è prudente evitare l’impiego dei Coxib nei soggetti esposti a tale rischio. In ogni caso, i Coxib, analogamente ai FANS tradizionali, non devono essere somministrati a lungo e il loro utilizzo non esime, laddove indicato, dal co-trattatamento con aspirina a basso dosaggio.

Conclusione
Il trattamento sintomatico dell’artrosi deve essere effettuato in modo tale da modificare la sintomatologia senza arrecare danni al paziente e tenendo conto della componente infiammatoria della malattia (fig.8).

Fig. 8 - Componente infiammatoria dell’Osteoartrosi

Bibliografia essenziale
1) American College of Rheumatology Subcommittee on Osteoarthritis Guidelines. Recommendations for the medical management of osteoarthritis of the hip and knee. 2000; 43: 1905-15.
2) Garcia Rodriguez LA, Hernandez-Diaz S. The relative risk of upper gastro-intestinal complications among users of acetaminophen and non-steroidal anti-inflammatory drugs. Epidemiology 2001; 12: 570-6.
3) A consensus statement from the American Academy of Pain Medicine and the American Pain Society. The use of opioids for the treatment of chronic pain. Clin J Pain 1997; 13: 6-8.
4) Katz WA. Use of nonopioid analgesics and adjunctive agents in the management of pain in rheumatic diseases. Current Opin Rheumatol 2002; 14: 63-71.
5) Abramson SB, Weissman G. The mechanisms of action of nonsteroidal antiinflammatory drugs. Arthritis Rheum 1989; 32: 1-9.
6) Barracchini A, Minisola G, Amicosante G. Oxaprozin: a NSAID able to inhibit the matrix metallo-proteinase activity. Inflammopharmacology 2001; 9: 143-6.
7) Matucci Cerinic M. I Coxib: una nuova via terapeutica. Celecoxib. Ann Ital Med Int 2001; 16 (suppl 3): 104S-10S.
8) Cochrane DJ, Jarvis B, Keating GM. Etoricoxib. Drugs 2002; 62: 2637-51.
9) Bombardier C, Laine L, Reicin A, Shapiro D, Burgos-Vargas R, Davis B. et al, for the VIGOR Study Group. Comparison of upper gastrointestinal toxicity of rofecoxib and naproxen in patients with rheumatoid arthritis. N Engl J Med 2000; 343: 1520-8.

top