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Un nuovo approccio
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tendinea
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Come aumentare la riserva alcalina
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Dalla riabilitazione
accelerata
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Anno 5 - Numero 2 - 2005
IL MEDICO SPORTIVO
Periodico di aggiornamento scientifico e
professionale


DALLA RIABILITAZIONE ACCELERATA ALLA RIABILITAZIONE ACCOMODANTE
Domenico Creta e Giulio Sergio Roi
Centro di Riabilitazione Sportiva Isokinetic e Education & Research Department Isokinetic, Bologna.

Lo scopo di qualunque trattamento riabilitativo, non solo sportivo, è restituire al paziente la piena funzionalità del distretto colpito da un evento traumatico acuto, cronico o post chirurgico.
È noto che un adeguato trattamento di recupero deve mirare, da un punto di vista biologico, a minimizzare la flogosi, controllare il dolore, permettere un rapido e progressivo recupero dell’articolarità, tonificare la muscolatura e recuperare la coordinazione e la capacità di prestazione. Il recupero funzionale si basa quindi sul raggiungimento di determinati obiettivi, che comporteranno determinati tempi.
In ogni processo di recupero possiamo identificare alcune variabili in gioco, che sono: 1) la “distanza” (s) tra lo stato attuale e gli obiettivi del recupero funzionale, e 2) il tempo (t) necessario per raggiungere tali obiettivi. Da queste variabili possiamo derivare: 3) la velocità del recupero, come rapporto tra le due variabili precedenti (s/t) e 4) l’accelerazione (o decelerazione) come variazione nella velocità di recupero rispetto ad una velocità attesa.

Tempo medio necessario
per il ritorno allo sport
Tra i giocatori che partecipavano al campionato di calcio di Serie A nella stagione 2001-02, la prevalenza dei casi di ricostruzione del legamento crociato anteriore (LCA) era dell’8%, con un tempo medio di ritorno all’agonismo pari a 232 (±135) giorni dall’intervento (range 77-791) (Roi GS et al, comunicazione all’ 8° Int. Conf. Assisi, 2004).
Questa “velocità” di recupero funzionale è da considerarsi elevata o bassa? La risposta alla domanda è praticamente impossibile, poiché non bisogna dimenticare che la velocità è una grandezza relativa. Inoltre, se scomponiamo il campione sopra citato sulla base del tipo di lesione dell’LCA (isolata, associata e complicata), possiamo notare delle differenze significative, attorno alla media dell’intero campione esaminato (tabella 1).
In particolare il gruppo di giocatori con lesione isolata dell’LCA è tornato all’agonismo entro i 4-6 mesi dalla ricostruzione (indipendentemente dal tipo di intervento effettuato), cioè entro un tempo definito da Donald Shelbourne, come indicativo del ritorno allo sport in modo accelerato (Shelbourne KD, Nitz P Am J Sports Med 1990, 18:292-299).

Riabilitazione accelerata
Dalla pubblicazione del famoso articolo di Shelbourne nel 1990, il tema della riabilitazione accelerata è divenuto di grande attualità in ambito medico-sportivo e fonte di continui dibattiti. Esistono infatti importanti problematiche biologiche dipendenti dai tempi di guarigione dei tessuti o dagli stimoli che possono favorire o rallentare la guarigione stessa, nonché dagli effetti che possono comparire a distanza di tempo più o meno lunga, sui diversi organi dell’apparato locomotore. La diversa interpretazione di tali problematiche ha portato ad una più o meno aperta contrapposizione tra i gruppi che tendono ad accelerare rispetto a quelli che tendono a rallentare il processo riabilitativo, tanto che alcuni considerano il concetto di accelerazione necessariamente collegato al concetto di rischio.
Ma è sempre così? Beynnon, in un suo recente articolo (Am J Sport Med, 2005; 33:347-359) risponde negativamente a questa domanda, poiché non ha rilevato differenze significative in termini di condizioni cliniche e livello funzionale raggiunto tra pazienti trattati con protocollo accelerato o non accelerato in seguito a ricostruzione dell’LCA.
Nella moderna riabilitazione non bisogna più avere tempi predefiniti da rispettare, ma raggiungere obiettivi. Il tempo necessario per tornare allo sport diventa di conseguenza un obiettivo secondario, mentre il primo obiettivo è quello di soddisfare tutti i requisiti necessari per tornare all’agonismo, e questo richiederà necessariamente un certo tempo riabilitativo (Kvist J, Sport Med 2004;34(4):269-280).



Basi biologiche della riabilitazione
In ogni processo riabilitativo dopo una lesione traumatica dell’apparato locomotore, vengono somministrate delle sollecitazioni via via crescenti, nell’intento di recuperare una funzione perduta. Si pone quindi la questione relativa ai criteri da utilizzare per la progressione dei carichi, che è già stata risolta dall’acronimo SAID (Specific Adaptations to Imposed Demand), ad indicare che i carichi devono essere continuamente adattati alle reazioni del sistema sul quale sono applicati e che il sistema si adatta continuamente ai carichi che gli vengono proposti. In questo processo che possiamo definire di azione-reazione, gli stimoli utili alla guarigione sono tutti quelli che inducono una risposta di adattamento attraverso modificazioni ormonali e neuro fisiologiche.
L’esercizio riabilitativo è un tipico stimolo che induce modificazioni ormonali e neuro fisiologiche che, in sintesi, dipendono dalla specificità dell’esercizio (isotonico, eccentrico, concentrico, isometrico, ecc…) e dal dosaggio dei carichi (intensità, volume e densità). Inoltre nel dosare l’esercizio, andranno considerate anche la qualità dei tessuti lesi e le loro intrinseche potenzialità di guarigione, che condizionano l’entità delle risposte all’applicazione dei carichi.
L’applicazione di un carico provocherà quindi una reazione specifica, cosicché il principio di azione e reazione in riabilitazione può essere ulteriormente elaborato, per cui se non si rispettano i criteri che permettono di definire la guarigione, si possono avere complicazioni che possono manifestarsi immediatamente (es. idrartro) ovvero a distanza (es. artrosi).
Un interessante articolo pubblicato nel 1998 (Dye SF, Fu FH, J Bone Joint Surg, 80-A:1380-1393, 1998) ha posto l’attenzione sul fatto che ogni sistema deve mantenere una sua omeostasi. Esistono infatti tre aree che comportano tre tipologie di risposte dei tessuti alle sollecitazioni ed al carico, sia in condizioni fisiologiche che in condizioni patologiche (figura 1):

1. area di omeostasi: è l’area centrale, dove il sistema è sempre in grado di mantenere l’omeostasi sia da un punto di vista metabolico che riparativo;

2. area di sottocarico: al di sotto del limite inferiore dell’area di omeostasi gli effetti dell’insufficiente sollecitazione provocano osteopenia, atrofia muscolare e diminuzione della sintesi dei proteoglicani;

3. area di sovraccarico: al di sopra dell’area di omeostasi le sollecitazioni sono “sovrafisiologiche” e non possono essere tollerate dal sistema, anche se applicate per un tempo limitato.

È evidente che ogni individuo (sano o malato che sia) ha per ogni sistema le sue peculiari aree di omeostasi, ed avrà quindi delle capacità di risposta alle diverse sollecitazioni che sono del tutto personali. Ne deriva che applicare criteri temporali predefiniti non permette di tener conto della complessità dei sistemi biologici individuali che sono coinvolti nell’allenamento e nella riabilitazione.
La riabilitazione accomodante
Il concetto di “accomodante” deriva dalla metodica isocinetica, dove la resistenza offerta dall’apparecchio isocinetico è sempre proporzionale alla forza espressa dal sistema muscolare. In questo modo le sollecitazioni sono sempre massimali e contemporaneamente si adattano alle effettive capacità del sistema (Hislop H, Perrine JJ, Phys Ther 1967; 47:114-17).
La riabilitazione accomodante va oltre il concetto di riabilitazione accelerata, poiché il paziente svolge ciò che è effettivamente in grado di tollerare, adattando continuamente i carichi alla situazione che evolve, a partire dall’applicazione del concetto della progressione dei carichi, che non deve essere interpretato solo dal punto di vista della Teoria dell’Allenamento, ma anche da un punto di vista clinico. Per questo è necessario applicare un costante monitoraggio (clinico e funzionale) che permetta di controllare il delicato equilibrio tra la necessità di guarigione del tessuto e la necessità di stimoli per i tessuti, gli organi ed i sistemi dell’apparato locomotore.
Assumono quindi notevole rilevanza il sintomo dolore ed i segni di effusione o di idrartro, indicativi di un eventuale squilibrio tra la necessità di guarigione del tessuto e le richieste funzionali dettate dalla progressione dei carichi.
Nella riabilitazione accomodante è necessario:



1. definire gli obiettivi clinici e funzionali prioritari di ogni singola fase (ad esempio: il recupero dell’estensione completa; il recupero dello schema del passo con carico parziale e controllato in acqua; il recupero della corsa sul campo sportivo; ecc…);

2. osservare le reazioni agli stimoli che vengono somministrati per raggiungere gli obiettivi;

3. identificare i “semafori rossi” che impediscono di passare alla fase successiva (dolore, idrartro, deficit ROM) (figura 2);

4. definire le strategie da adottare quando compaiono complicanze (ad esempio: in caso di idrartro utilizzare Fans, ghiaccio, riposo attivo, idrokinesiterapia, massaggio linfatico, riduzione del numero di sedute riabilitative settimanali, ecc...; oppure in caso di dolore utilizzare Fans, terapie fisiche, rinforzo muscolare nel ROM libero da dolore, selezione di opportuni esercizi in catena aperta e chiusa, diminuzione dei carichi, rinforzo eccentrico, ecc…).

Così facendo, il concetto secondo il quale esistono dei tempi predefiniti che guidano la riabilitazione viene superato e l’attenzione viene posta sui criteri clinici e funzionali che costituiscono l’effettivo presupposto per la progressione dei carichi e delle sollecitazioni che portano alla guarigione (Kvist J, Sport Med 2004; 34:269-280).
Questo tipo di approccio permette di pianificare il recupero da un trauma non seguendo più un rigido protocollo di recupero standardizzato (anche accelerato), ma che non tiene conto delle reali condizioni del paziente. Il protocollo deve invece essere calato nella singola realtà di ogni paziente e proprio perchè verrà modulato in risposta alle sue specifiche condizioni cliniche in continua evoluzione, diventa accomodante, cioè coerente e corrispondente alla situazione in corso, senza dimenticare l’unicità di ogni singolo paziente, non solo come persona e storia clinica, ma anche come reattività individuale dei tessuti al trauma e capacità di guarigione.

Il futuro della riabilitazione
Ogni processo riabilitativo deve preoccuparsi del recupero funzionale, ma soprattutto di garantire la funzionalità nel tempo e prevenire l’instaurarsi di patologie degenerative, senza trascurare la complessità delle reazioni e soprattutto le potenzialità nei sistemi biologici. Assumono quindi importanza le tecniche chirurgiche sempre più affidabili ed anatomiche (“Bio-orthopaedic-surgeon”), ma anche le moderne tecniche riabilitative che si sviluppano da basi “neuro-meccaniche” e che presuppongono un equilibrio tra i carichi riabilitativi ed il controllo neuromotorio.

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